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Museo Pecci: se la fine è il suo inizio

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C’è tutta la forza di una città come Prato, che negli anni ha vissuto momenti di grande boom economico e le crisi più profonde, sempre affrontate con la voglia di risorgere, nella cerimonia di inaugurazione del rinnovato Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci. Una forza che si è concretizzata in una capacità di coinvolgimento immensa, che ha messo insieme gallerie, istituzioni culturali e tanta, tantissima gente che ieri ha atteso ore per visitare The End of the World, la prima mostra in programma che durerà fino al 19 marzo 2017 e che solo nella giornata di domenica 16 ottobre ha registrato ben 12.000 visitatori. Un successo che è il giusto coronamento di anni di duro lavoro per riportare in vita quello che è il secondo museo d’arte contemporanea nato in Italia – correva l’anno 1988 – e che in molti, troppi, avevano quasi dimenticato dopo un prolungato silenzio interrotto solo ieri con un ritorno sulle scene che ha tutto il sapore della sfida. Una sfida ambiziosa, forse anche un po’ arrogante ma di cui molti sentivano il bisogno: riavvicinare l’arte alla società, alle persone.

La reception del Centro Pecci di Prato
La reception del Centro Pecci di Prato

«L’arte – ha spiegato infatti Fabio Cavallucci, direttore del Centro, durante il suo discorso inaugurale – negli ultimi anni ha raggiunto risultati importantissimi a livello economico, di visibilità e anche di attrazione, ma ho paura che si sia un po’ allontana da una visione più ampia: dall’essere parte di una comunità nel senso più profondo». «Credo che sia importantissimo che esista un sistema economico che sorregga l’arte: il collezionismo e il mercato – ha proseguito -. Ma ritengo anche che sia altrettanto importante oggi fare una scommessa nuova e cercare di spingere l’arte a dialogare con le persone». Un dialogo che il Centro Pecci intende costruire a partire dall’orario di apertura – prolungato fino alle 23 – perché, ha sottolineato il direttore «è necessario rinnovare un sistema che ormai da secoli va avanti solo per forza di inerzia e che prevede che i musei siano aperti quando la gente è a lavoro o a studiare. Aprire la sera è il primo passo affinché qui si crei una comunità, perché il vero obiettivo di un Centro d’Arte è quello diramare l’arte dove la gente vive, nelle case, nelle piazze. L‘arte deve tornare ad essere qualcosa di cui la gente si nutre quotidianamente».

 

The end of the world: una mostra che sa parlare alle persone

 

In un mondo dell’arte contemporanea dove spesso ci si chiede per chi vengano fatte le mostre, vista la loro incapacità di comunicare al di fuori della cerchia dei soli addetti ai lavori, The end of the world è una gradita sorpresa. La mostra curata da Fabio Cavallucci e dai suoi collaboratori, infatti, ha il raro pregio di poter essere compresa anche da chi di arte non si intende. Le opere dei 50 artisti selezionati – tra icone del contemporaneo e giovani  – sviluppano, su 3000 mq di superficie, un racconto montato con la sapienza del regista cinematografico. E se il titolo può suonare provocatorio, il suo significato originale non si discosta poi molto dalla realtà che intende descrivere. Lungi dall’essere una mostra catastrofista,  The end of the world affronta, infatti, un tema di stringente attualità: quel sentimento di diffusa incertezza, di incapacità di comprendere il mondo così come ci è sembrato di riuscire comprenderlo fino a qualche tempo fa. Quando il nostro sistema di interpretazione della vita poteva poggiare su riferimenti politici, religiosi e sociali solidi.

Oggi, con una società che da liquida si fa sempre più gassosa, in cui tutto è dematerializzato a partire dai rapporti interpersonali, ci troviamo in una situazione di smarrimento, in cui il mondo come lo conoscevamo non esiste più e, al tempo stesso, ci troviamo di fronte ad un futuro che forse è già arrivato, ma che non sappiamo riconoscere e, tanto meno, maneggiare con la stessa sicurezza di un tempo. Ecco, la mostra del Pecci, attraverso un itinerario espositivo che dal presente ci riporta alle nostre origini per poi farci tornare all’oggi, con la sua precarietà, i suoi contrasti e conflitti, offre al visitatore la possibilità di una visione a distanza di questa situazione. E lo fa lasciando da parte le grandi aspirazioni teoriche, ma proponendo un tema solido, sviluppato in modo che le opere possano parlare da sole e che ogni persona possa così essere in grado di vivere un’esperienza. E questo, per un Centro che si pone come mission quella di avvicinare la società all’arte e l’arte alla società mi sembra decisamente un grande risultato.

 

L’edificio di Maurice Nio: moderno e sostenibile

 

Se la mostra allestita per l’inaugurazione è già un primo segnale positivo di un cambio di rotta che speriamo sia contagioso, il Pecci di Prato è già un esempio dal punto di vista “architettonico”. L’edificio del museo, infatti, progettato dall’architetto di fama internazionale Maurice Nio, è un importante elemento di discontinuità rispetto ad esperienze analoghe tanto internazionali che italiane. Pur collocandosi nel filone dei musei progettati da Archi-star e in grado, grazie alla loro forza estetica che esce fuori dal comune, di divenire importanti poli di attrazione turistica, la struttura disegnata da Nio ha avuto costi estremamente ridotti rispetto a quelle create da Frank Gehri a Bilbao (166 milioni di euro) o a Roma da Zaha Hadid (110 milioni di euro): 14.4 milioni di euro di cui 7 finanziati dalla Regione Toscana e il resto dal Comune di Prato. Un esempio virtuoso a cui va aggiunto l’impegno di fare di questo Centro un luogo dove il contenitore non deve superare il contenuto. Il Pecci rinasce, infatti, per essere un centro in cui, sul modello del Wales Millennium Centre di Cardiff, la arti visive dialogheranno con il teatro, la musica, la danza e il cinema. Insomma non un luogo in cui la cultura si conserva e basta, ma in cui si coltivano le energie creative e si aggrega una comunità attorno ad una cultura da vivere e far vivere in prima persona. Il tutto con una visione nazionale ed internazionale. Speriamo che anche in questo, il rinato museo pratese possa fare scuola.

Nicola Maggi
Nicola Maggi
Giornalista professionista e storico della critica d'arte, Nicola Maggi (n. 1975) è l'ideatore e fondatore di Collezione da Tiffany il primo blog italiano dedicato al mercato e al collezionismo d’arte contemporanea. In passato ha collaborato con varie testate di settore per le quali si è occupato di mercato dell'arte e di economia della cultura. Nel 2019 e 2020 ha collaborato al Report “Il mercato dell’arte e dei beni da collezione” di Deloitte Private. Autore di vari saggi su arte e critica in Italia tra Ottocento e Novecento, ha recentemente pubblicato la guida “Comprare arte” dedicata a chi vuole iniziare a collezionare.
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