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Alessandro Casini: crescere e condividere, di padre in figlio

del

Quando ero assistente di galleria e frequentavo molte fiere in qualità di espositore, incontravo sempre moltissimi visi familiari, alcuni noti, alcuni senza nome. Ora che sono freelance nel meraviglioso mondo del contemporaneo, capita spesso che io incroci, sempre visitando le suddette fiere o casualmente nel web, alcuni di quei volti. Allora scatta una scintilla: “Ma tu sei…?” – “E tu sei…?” ed ecco che magicamente si abbinano i nomi alle persone, alle storie e ai ricordi. Con Alessandro Casini è stato così: ci siamo incontrati di nuovo, ognuno con una nuova storia.

Alice Traforti: Caro Alessandro, il tuo girovagare nel mondo del collezionismo inizia qualche tempo fa. Come è nata e come si è formata la tua collezione?

Alessandro Casini: «Sono nato nel 1959 e cresciuto a pane e Gazzetta dello Sport e Guerin Sportivo, sino a che nel 1992 acquisto la mia prima opera di Giovanni Lomi e per un paio di anni continuo a collezionare la pittura Labronica del primo novecento. Successivamente capisco che l’arte non poteva essere solo ed esclusivamente quella di settanta anni prima, circoscritta in una piccola città di provincia. Inizio quindi ad interessarmi di Arte Moderna e Contemporanea facendo incetta di libri. Con timore e soggezione, entrai per la prima volta alla Galleria Giraldi, la quale mi fece scoprire uno dei miei primi e attuali amori: il Maestro Elio Marchegiani.

Michael Goldberg, Retreat from landscape, 1980. Tecnica mista su carta 100x70. Courtesy: Alessandro Casini.
Michael Goldberg, Retreat from landscape, 1980. Tecnica mista su carta 100×70. Courtesy: Alessandro Casini.

Dopodiché vengo in contatto con Roberto Peccolo, titolare dell’omonima galleria, con il quale inizio un percorso di crescita ancora in atto. Credo che almeno l’ottanta per certo del mio sapere sia riconducibile alla frequentazione di questo personaggio, direi unico in Italia, che vanta cinquant’anni d’ininterrotta attività. Mi fece scoprire artisti allora pressoché sconosciuti al grande mercato, come Gil J Wolman, Arrigo Lora-Totino, Irma Blank, Maurice Lemaitre, Gerard Deschamp, George Nöel e alcuni espressionisti astratti americani quali Norman Bluhm, Michael Goldberd, Ray Parker, David Budd e Kimber Smith».

A.T.: La tua città, Livorno, ha svolto un ruolo determinante nella crescita della tua passione e nello sviluppo della tua collezione?

A.C.: «Come detto, avere due storiche gallerie nella mia città, la Galleria Giraldi nata nel 1951 e la Galleria Peccolo nel 1969, ha svolto un ruolo fondamentale».

A.T.: Che cosa significa per te collezionare arte?

A.C.: «In due parole: crescere e condividere. Sono solito definire il collezionare arte “l’unica bella malattia esistente al mondo”, e come ogni patologia ha bisogno di continue cure. Conoscere galleristi, artisti e appassionati, leggere e aggiornarsi e infine cercare, selezionare e acquistare un’opera sono le attività che affollano il mio tempo libero. L’arte accresce il proprio sapere e sazia la propria curiosità. Tra collezionisti non vi è invidia, sono onorato in questi anni di aver visto tanti capolavori a casa di amici e tra noi condividiamo acquisti e nuovi amori. Il mio più grande appagamento dopo una dura giornata di lavoro è sedermi sul divano e godermi le opere comperate con grandi sacrifici.

Jiri Kolar Listy a lìstky 1964 chiasmage 68x49 cm. Courtesy: Alessandro Casini
Jiri Kolar Listy a lìstky 1964 chiasmage 68×49 cm. Courtesy: Alessandro Casini

Non ho timore né remore a rendere pubblico che in quasi trent’anni di acquisti non ho mai potuto comperare un’opera con pagamento immediato. Nonostante la mia frequentazione di fiere e aste, i miei acquisti sono sempre riconducibili a un ristretto numero di gallerie con le quali instauro un vero rapporto di collaborazione, ma soprattutto di amicizia. Ne sono esempio la Galleria Melesi, alla quale devo moltissimo per avermi introdotto il lavoro di due grandissimi artisti del calibro di Julio Le Parc e Jiri Kolar. Un’altra importante frequentazione, che si protrae da anni, è con Primo Marella e il suo professionale staff: a loro devo la scoperta di artisti come Ruben Pang, del quale mi pregio di avere tre opere in collezione».

A.T.: Nel 2017, tuo figlio Gian Marco ha troncato sul nascere una carriera nel campo dell’Ingegneria Gestionale per aprire una galleria d’arte. Immagino che questo spostamento di interesse non sia successo di punto in bianco. In quale momento hai capito che anche tuo figlio aveva l’animo del collezionista?

A.C.: «Dal 2010, all’età di 21 anni, mio figlio inizia a seguirmi in ogni evento legato all’arte. Con i soldi che metteva da parte comprava libri e con il ricavato di uno stage si compera un’opera di Ugo Carrega alla Galleria Clivio. A un’edizione di Artissima, Gian Marco rimane colpito dalla professionalità di un giovane gallerista, Rolando Anselmi, il quale gli introduce il lavoro di Asger Dybvad Larsen e inizia un’azione di convincimento che è tipica del collezionista in erba. Gian Marco ha portato il mio interesse maggiormente sul contemporaneo».

Jacques Villeglé, Rue de l'Ave Maria, 1962. Manifesti strappati su tela 33,5x21 cm. Courtesy: Alessandro Casini
Jacques Villeglé, Rue de l’Ave Maria, 1962. Manifesti strappati su tela 33,5×21 cm. Courtesy: Alessandro Casini

A.T.: Alla luce di questo fatto, come è cambiato il tuo modo di collezionare arte contemporanea da ieri, quando eri padre di Gian Marco, a oggi che sei padre di un gallerista?

A.C.: «In questi diciotto mesi di attività della sua galleria sono sempre combattuto se far prevalere la mia fame di collezionista o quella del buon padre di famiglia, lasciando la primaria scelta ai suoi collezionisti. In tal senso ho “sofferto” per la perdita di una tela cucita di Masi, un’opera storica di Griffa, come anche nell’attuale mostra di Clarissa Baldassarri. Sicuramente le opportunità di acquisto per me si sono moltiplicate e di pari passo l’esigenza di compiere delle scelte in quanto ogni collezionista, secondo il proprio portafoglio, è chiamato a farle. Io continuo la mia attività di collezionista più o meno come prima, ma come detto, tramite Gian Marco, ho accresciuto il numero delle mie frequentazioni. Quindi, riassumendo, sono più le opere che vengono a cercare me, rispetto al contrario».

A.T.: Credi che il tuo essere collezionista influenzi per certi versi il lavoro di gallerista di tuo figlio, o forse è più vero il contrario?

A.C.: «Credo che il mio condizionamento possa aver influenzato i suoi esordi con mostre legate alla Pittura Analitica, ma prontamente Gian Marco ha virato aprendo gli orizzonti verso i suoi coetanei, come Mauro Panichella o Lorenzo Taini, unitamente a un lavoro di riscoperta di Renato Spagnoli, al quale dedicherà una mostra personale in occasione dei suoi 90 anni».

Julio Le Parc, Modulation 389 theme 31 a varation, 1979. Acrilici su tela 30x30 cm. Courtesy: Alessandro Casini
Julio Le Parc, Modulation 389 theme 31 a varation, 1979. Acrilici su tela 30×30 cm. Courtesy: Alessandro Casini

A.T.: Infine, come ti relazioni alle nuove discipline del fare arte di questo millennio?

A.C.: «Grazie anche a Gian Marco ho acquisito maggiore conoscenza verso queste nuove espressioni. Con lui abbiamo visitato una bellissima mostra alla Fondazione Sandretto di Ed Atkins, due edizioni di Artissima fa. In galleria per la mostra di Philip Corner e per quella di Ben Patterson ha organizzato due performance. Sono ancora lontano, ma mi sto avvicinando».

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Se per Alessandro Casini collezionare significa soprattutto “crescere e condividere”, credo che l’aver cresciuto un figlio che non solo condivide spontaneamente la stessa passione, ma che l’ha anche interpretata in una maniera del tutto personale, sia il coronamento, tanto inatteso quanto gioioso, di questo ideale così forte che ha saputo contagiare ogni aspetto della sua vita.

Ecco che l’arte, ancora una volta, parte dalla vita di oggi per costruire quella di domani.

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