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Andrea Festa: dalla collezione alla home gallery

del

Cari lettori, nel viaggio tra le storie dei nostri collezionisti riscontriamo ancora una volta una nuova generazione consapevole e attenta soprattutto alla sostenibilità come etica, collaborazione e rinnovamento del sistema arte.

Oggi parliamo col giovane collezionista romano Andrea Festa, proprio alla vigilia del suo salto nel mercato dell’arte come nuovo gallerista (Andrea Festa fine art), sospeso ancora per un po’ a causa del Covid-19 che ci ha colti tutti all’improvviso.

In questo tempo incerto, fa bene parlare con chi ha le idee così chiare per il futuro di questo meravigliosamente complesso settore.

Ready to read?

 

Alice Traforti: Caro Andrea, ricordi come hai cominciato a collezionare, le motivazioni, i primi amori e le fasi cruciali della tua collezione?

 

Andrea Festa: «Penso che collezionisti si nasca. Da adolescente divoravo fumetti e avevo già l’indole di andare a cercare nei mercatini dell’usato i numeri mancanti. Ricordo con nostalgia i pomeriggi passati in piazza Solferino a Torino, città dove sono nato e cresciuto.

Ho sempre amato la musica e il cinema e anche in questo campo possedevo una discreta collezione di dischi e film.

Una volta trasferitomi a Roma, ho deciso che avrei voluto arredare il mio appartamento con opere di giovani artisti: comprare le classiche stampe di taxi a New York o di vecchi divi del cinema non mi sembrava attraente.

Così ho iniziato a guardarmi intorno, visitando le aste locali e le piccole gallerie, ma il vero punto di svolta è stato visitare per la prima volta una fiera, precisamente Artissima: un vero e proprio Big Bang, mi si è aperto un mondo!»

Sul tavolo: una scultura di Evan Holloway.
Sullo sfondo: a sinistra l’opera “New York New York” di Adam Mcewen, dalla collezione di George Michael; a destra un’opera di Elyse Sable Smith

 

A.T.: Sei di origini piemontesi, ma vivi a Roma da diversi anni. Che rapporto hai con la vita culturale della città, tra istituzioni e gallerie?

 

A.F.: «È una scena contemporanea un po’ sommessa quella di Roma. Mi è capitato di presenziare a openings sia a Milano che a Napoli, e lì ho visto un’attenzione, un confronto tra collezionisti e galleristi che a Roma semplicemente manca.

Ho notato tra i miei amici collezionisti una perdita di entusiasmo e non penso sia dovuta esclusivamente alla qualità dell’offerta. Ricordo, anni fa, i galleristi romani condividere gli openings lo stesso giorno, un’idea che secondo me funzionava. Alcuni di loro nel frattempo si sono trasferiti e altri altrettanto validi, come Gavin Brown e Emanuel Layr, hanno deciso di scommettere su questa città, ma noto scarsa condivisione tra gli addetti ai lavori. Anche se oggi viene messo in dubbio, continuo a pensare che la sharing economy sia il futuro: bisogna fare sistema.

All’estero se ne sono accorti già da un pezzo. Ad esempio Condo, l’idea di Vanessa Carlos in cui periodicamente una galleria ospita un artista di un’altra galleria e viceversa, funziona molto bene. Oppure Platform di David Zwirner, la piattaforma online che offre ospitalità a rotazione a 12 piccole gallerie che possono esporre le opere dei loro artisti. Sono molte le situazioni come queste, in cui traggono benefici tutti gli attori coinvolti nella collaborazione.

Dall’angolo: dipinto di Matt Sheridan Smith, sculture di Iena Henke, opera di Marc Quinn

Per quanto riguarda le istituzioni sono stato sostenitore prima del Macro e ora del MAXXI. Riguardo la conduzione del Macro degli ultimi anni non c’è bisogno di commentare, un vero dispiacere, ma sono felice della nomina di Luca Lo Pinto e curioso di vedere come cambierà il Macro nel futuro prossimo.

Per quanto riguarda il MAXXI, mi sento di dover fare un appunto. Data la mia età ho la possibilità di sostenere il museo nella categoria Young, a cui però è preclusa praticamente qualsiasi attività, dalle visite agli studi di artisti agli incontri con il direttore e curatori del museo, alle tessere vip per le varie fiere. Mi sembra un atteggiamento miope. Un giovane che decide oggi di donare i propri soldi a sostegno di un museo compie un vero e proprio atto di fede: in cambio facciamolo sentire parte di un qualcosa!

Viviamo in un mondo, quello dell’arte, spesso tacciato d’essere elitario e autoreferenziale, dalle istituzioni pubbliche ci si aspetterebbe un atteggiamento che va nel senso opposto».

Sam Mckinniss, Clear eyes, olio su tela
Sterling Ruby, scultura

A.T.: Quali sono le pratiche del buon collezionista? Ovvero come e dove ti informi, quali luoghi frequenti (di persona o virtualmente), dove ti piace acquistare.

 

A.F.: «Bisogna studiare e informarsi continuamente: è un vero e proprio lavoro. Personalmente frequento Instagram per scoprire nuovi talenti. Mi informo su Artribune, Exibart e Il Giornale dell’Arte per quanto riguarda l’Italia; per l’estero seguo invece Artnet e Art news.

Le fiere sono imprescindibili. Amo in maniera particolare Artissima, Torino è una città di rara raffinatezza e gusto, a seguire Miart, e all’estero Frieze e Basilea».

Da sinistra: in basso scultura di Sherrie Levine “LouLou”; in alto opera di Marc Quinn, fotografie di Elad Lassry, lampada “Moonlight Venezia” di Igor Mitoraj

A.T.: Come hai vissuto e affrontato il distanziamento forzato dal mondo dell’arte, imposto dall’emergenza sanitaria Covid-19?

 

A.F.: «Con l’avvento del virus il mondo dell’arte ha premuto sull’acceleratore per un cambiamento che era già in atto, mettendo in mostra il gap immenso che esiste tra pochi big player, come Zwirner, Gagosian e Wirth che si sono fatti trovare preparati, e tutte le altre piccole e medie gallerie, che si sono affannate a lanciare le proprie realtà virtuali, tra dirette e online rooms con risultati davvero altalenanti.

In questi due mesi di lockdown abbiamo sperimentato per la prima volta una Basel Hong Kong e un Frieze New York completamente online. Pur avendo preferito la seconda in termini di navigazione, l’ho trovata un’esperienza comunque noiosa e tediante, faticosa da portare a termine.

Capisco la necessità di non paralizzare l’intero mercato per diversi mesi, oltretutto con nuovi lavori pronti e stand già pagati, ma convertire una fiera come Basel in un evento online può essere un’alternativa solo temporanea».

Da sinistra: opera di Louise Giovanelli, scultura di Gavin Kenyon

 

A.T.: A inizio 2020 hai fondato Andrea Festa Fine Art. Ci racconti che cos’è e perché nasce?

 

A.F.: «Sono stati 12 anni intensi di collezionismo, di aerei presi all’ultimo minuto per quella fiera, di nottate in piedi per quell’asta, di studi fino a tardi, rinunciando a weekend magari più divertenti con gli amici, sottraendo tempo ad affetti e famiglia per una passione che non va scemando, anzi. Così arriva il momento in cui devi tenerne conto.

L’idea di passare a un ruolo più attivo probabilmente c’è sempre stata, solo i tempi non erano maturi, e non parlo di quelli che stiamo vivendo come collettività, ma di una mia crescita personale.

Aprire una home gallery è la mia risposta, una delle possibili alternative al modello classico di galleria che è in crisi da tempo, obsoleto per alcuni, essenziale per altri.

Vivo in un bell’appartamento davanti a Castel Sant’Angelo: ho semplicemente pensato che sarebbe stato un posto in cui sia artisti che collezionisti avrebbero avuto piacere di frequentare.

Ci sono dei limiti logistici, ma è più accogliente di un qualsiasi white cube».

Richard Phillips, Liberation monument, 2001, charcoal and chalk on paper, 19 ½ by 26 1/8 in. (47×66,3 cm)

 

A.T.: Quale sarà la prima mostra nella tua home gallery?

 

A.F.: «La prima mostra sarà un solo show di Marlon Kroll, artista tedesco di base a Montreal, che lavora con diverse tecniche, tra cui una particolare pittura impermeabile conosciuta come oilskin (un misto di cera, olio di semi e spirito). Presenteremo una serie di nuovi dipinti, sculture in ceramica e video.

Ho affidato l’inaugurazione a un giovane curatore indipendente di base a Milano, Domenico De Chirico, che conosco ormai da qualche anno, di cui ho fiducia e al cui lavoro ho sempre guardato con interesse e ammirazione.

Iniziare questa avventura con lui mi è sembrato naturale. Sono molto emozionato. Avevo programmato l’opening per luglio, ma dovrò aspettare fino a metà settembre».

Mike Bouchet Dark up, 2012 Oil on canvas 82 5/8″ x 59″ inches framed

A.T.: Come immagini l’arte del futuro?

 

A.F.: «L’arte contemporanea è legata alla società e al tempo che viviamo, ne è specchio e critica, e sarà inevitabilmente legata sempre più al digitale, in termini sia di tematiche che di tecniche utilizzate.

Sarà interessante anche vedere come questa pandemia avrà effetto sui lavori degli artisti. La quarantena ha portato ognuno di noi a riflettere su quanto stessimo mettendo sotto stress la nostra terra e le nostre vite, ci ha costretto a prendere un respiro profondo, a rimettere in discussione le nostre priorità. Ma il mondo dell’arte, essendo un business altamente competitivo e con un’immensa quantità di denaro coinvolta, sembra averlo intenzionalmente ignorato.

Siamo stati bombardati fin dal giorno zero di online rooms, dirette, zoom, 3d, virtual show, aste online. Non lo biasimo: il mercato viaggia, e ce ne siamo accorti ormai da tempo, a un ritmo non più sostenibile. Auspico che questo momento di stasi venga sfruttato per ripensare un modello di sistema più umano, più sostenibile.

Occorre riportare il lavoro dell’artista e le esibizioni a un ruolo centrale; valorizzare le realtà locali; ridurre il numero di fiere alle quali le gallerie sono chiamate a partecipare per avere visibilità sì, ma a rischio di indebitarsi; e ancora dare la possibilità al collezionista di rimanere aggiornato sulle nuove tendenze con il tempo necessario ad approfondire».

Melike Kara

A.T.: Pensando invece al tuo futuro nell’arte, che cosa vorresti cambiasse nel sistema arte contemporanea in Italia quando l’esperienza del Covid-19 sarà alle spalle?

 

A.F.: «Sarebbe utile ridiscutere la percentuale di IVA sulle vendite di opere d’arte nel primo mercato, così come l’IVA sulle importazioni, considerando che il mercato dell’arte agisce a livello globale e non solo locale. Abbiamo l’imposta più alta in assoluto di tutta Europa, un livellamento ci permetterebbe maggiore attrattiva da parte di investitori esteri e non dico maggiore competizione, ma sicuramente una concorrenza più leale tra i vari paesi europei.

Vorrei anche che ci fosse una maggior tutela per le piccole gallerie che fanno un lavoro di scouting indispensabile investendo nei giovani artisti che, una volta raggiunto il successo di pubblico e quindi il momento di prenderne profitto, sono portati via dalle mega gallerie. Perché un sistema sia sano, tutti gli ingranaggi devono poter funzionare, dal grande al piccolo.

Infine vorrei vedere una maggior presenza a livello internazionale delle nuove leve italiane, una maggior sponsorizzazione e supporto da parte di gallerie e collezionisti, e questa non vuole essere una critica, ma piuttosto un mea culpa. Non posso dire di aver contribuito granché alla scena contemporanea emergente italiana come collezionista. Spero di poter fare presto di più come gallerista, anzi: lo prometto».

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