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Art & Finance Report 2017: settore in crescita, ma il mercato deve cambiare

del

Entro il 2026 ammonterà a 2.7 migliaia di miliardi di dollari il capitale allocato dai Super-Paperoni del mondo (gli UHNWI) in opere d’arte e altri oggetti da collezione, con un incremento di circa il 69% in dieci anni. Oggetti acquistati, principalmente per piacere e per motivi sociali, ma anche con una certa attenzione all’investimento. Una serie di fattori che stanno spingendo sempre la cosiddetta Art & Finance Industry ad un modello di gestione patrimoniale più “olistico”.  Ossia in grado di offrire, in modo più dinamico e sofisticato, un pacchetto di servizi relativi all’arte ben differenti da quelli abitualmente offerti dal Private Banking e che hanno molto a che fare con la gestione, in senso stretto, di una collezione d’arte. E’ questo, con molta probabilità, uno degli aspetti più interessanti nell’evoluzione del rapporto tra Arte & Finanza emerso dall’Art & Finance Report 2017 di Deloitte e ArtTactic presentato ieri pomeriggio a Milano a Palazzo Mezzanotte. Ma se questo settore è in costante crescita ed evoluzione, gli operatori avvertono: è necessario rendere più moderno il business dell’arte.

 

Arte & Finanza: un rapporto in costante evoluzione

 

Giunto alla sua quinta edizione, il Rapporto di quest’anno ci consegna, grazie ad una comparazione dei dati emersi dalle indagini condotte dal 2011 ad oggi, una fotografia non solo dello stato attuale della Art & Finance Industry, ma della sua stessa evoluzione. Un settore economico in realtà non nuovissimo, visto che “esiste” già dagli anni Sessanta, ma che indubbiamente negli ultimi 7 anni ha preso connotati e dimensioni ben più precisi. In particolare, in questo arco di tempo, il settore ha visto un cambiamento profondo proprio dal punto di visto dell’approccio. Passato da quello “classico” da wealth management ad uno più orientato ai “servizi accessori”, ossia a servizi che aiutino i clienti più facoltosi a tutelare e gestire in modo finanziariamente corretto la propria collezione d’arte.

Quello dell'Art & Finance è un settore che, in modo del tutto particolare, si posizione all'intersezione tra tre settori interconnessi. Fonte: Deloitte Luxenbourg & ArtTactic Art & Finance Report 2017
Quello dell’Art & Finance è un settore che, in modo del tutto particolare, si posizione all’intersezione tra tre settori interconnessi. Fonte: Deloitte Luxenbourg & ArtTactic Art & Finance Report 2017

Un cambiamento, quello appena descritto, che parte dalla consapevolezza che non ci troviamo di fronte ad un fenomeno passeggero, ma ad un trend di lungo termine e che, quindi, non può essere trascurato da chi oggi, a vario titolo, si occupa della gestione dei grandi patrimoni. Pensate che nel 2011, quando fu lanciata la prima edizione dell’Art & Finance Report, appena il 30% degli wealth manager intervistati dichiarò di star valutando con attenzione la creazione di servizi legati all’arte come asset. Oggi siamo al 60%, ma non solo. Il 64% li sta già offrendo e solo nell’ultimo anno sono cresciuti del 10% – salendo così all’88% – i manager convinti che tali servizi debbano essere assolutamente offerti come parte integrante del pacchetto proposto per la gestione dei capitali.

Ma cosa sta guidando questo crescita d’interesse che sembra coinvolgere tutta la filiera, dai collezionisti, ai professionisti del settore arte fino, appunto, agli wealth manager? Sostanzialmente una combinazione di più fattori che vanno dalla capacità di ripresa del mercato ai prezzi costantemente in crescita delle opere. Elementi che stanno facendo aumentare sempre di più la domanda di arte e la quantità di capitali allocati nelle opere e, più in generale, negli oggetti dal collezione. Quest’anno tale quantità è stimata attorno alle 1.6 migliaia di miliardi di dollari. Ma soprattutto, a dare gas allo sviluppo della Art & Finance Industry è la consapevolezza che non si tratta di un fenomeno passeggero. Da quanto emerge da Report di Deloitte e ArtTactic, infatti, l’86% dei collezionisti e dei professionisti del mercato dell’arte intervistati ha dichiarato che l’acquisto d’arte è mosso, in primo luogo, per passione anche se con un occhio all’investimento.

L'evoluzione dei capitali allocati in arte o in altri beni collezionabili dagli UHNWI del 2016 e, proiezione, nel 2026. Fonte: Deloitte Luxenbourg & ArtTactic Art & Finance Report 2017
L’evoluzione dei capitali allocati in arte o in altri beni collezionabili dagli UHNWI del 2016 e, proiezione, nel 2026. Fonte: Deloitte Luxenbourg & ArtTactic Art & Finance Report 2017

Non solo: l’85% dichiara che è sempre più forte anche il valore sociale che viene attribuito all’acquisto d’arte, ossia al suo ruolo di status symbol. Un ruolo che esiste da quando esiste l’arte e che, quindi, sembra garantire un lungo futuro a questo settore. Tanto che l’85% dei gestori di patrimoni è convinto che sia fondamentale ampliare il range dei servizi relativi all’arte rispetto a quelli oggi offerti. E se un 64% degli intervistati già li offre, la domanda da parte dei clienti per questa tipologia di servizi è in costante crescita con un 55% dei wealth manager di tutto il mondo che parla addirittura di “forti pressioni da parte dei clienti”. Una situazione che fa sì che già un 44% di loro stia pensando, entro i prossimi 12 mesi, di aumentare i propri investimenti e le risorse destinate a questo settore per dare una risposta a queste “pressioni” o perché (69% dei casi) convinto che i propri clienti glieli stiano per chiedere.

 

Il futuro della Art & Finance Industry è nell’approccio olistico ai servizi

 

Quanto detto sopra sta facendo registrare un’interessate convergenza della wealth management industry che, in fatto di arte, sta andando verso un modello più olistico nella gestione di questo asset. Convergenza che nasce dalla acquisita consapevolezza che il collezionismo d’arte, alla pari di un organismo vivente, va considerato sempre come un’unità-totalità non esprimibile con l’insieme delle parti che lo costituiscono. Ossia un’unità che, nel nostro caso, è fatta di valori immateriali e materiali che non possono essere assolutamente disgiunti. Così, se parliamo di wealth management applicato all’arte, i servizi più richiesti (e oggi offerti) si suddividono, principalmente, in quattro aree: una relativa all’accumulo dei capitali (Art Fund, investimenti in  ecc.); una alla loro protezione e alla gestione dei rischi; una alla conversione di tale capitale in “entrate” e l’ultima al trasferimento “generazionale” del capitale.

Le principali tipologie di servizi di Art Wealth Management suddivisi in 4 aree. Fonte: Deloitte Luxenbourg & ArtTactic Art & Finance Report 2017
Le principali tipologie di servizi di Art Wealth Management suddivisi in 4 aree. Fonte: Deloitte Luxenbourg & ArtTactic Art & Finance Report 2017

Con servizi che vanno, così, dalla Valutazione delle Collezioni e di Art Advisory a quelli, sempre più richiesti, legati alla filantropia e alle donazioni,  alla creazione di Fondazioni o, più semplicemente, a come inserire la propria collezione nelle pratiche di successione, a come assicurare le proprie opere o utilizzarle per prestiti garantiti. Tanto per fare degli esempi.  Oltre al fatto che, strettamente connessi a questi servizi, sta crescendo anche la richiesta di una maggior integrazione tra i software di gestione delle collezioni d’arte e i sistemi di reportistica bancaria esistenti.

 

Ma il business dell’arte deve modernizzarsi

 

Uno scenario, quello appena descritto, nel quale si prospettano interessanti sviluppi che potrebbero avere un buon influsso anche sul mercato dell’arte visto la necessità, alla base della stessa Art & Finance Industry, di una maggior trasparenza del mercato dell’arte e di una sua regolamentazione. La maggior parte degli intervistati, infatti, denuncia la necessità di una modernizzazione del modo di fare business oggi tipico del mercato dell’arte che deve iniziare a darsi degli standard di trasparenza che ne aumentino la solidità e la credibilità.

Questo sia attraverso una forma di auto-regolamentazione, ma anche con interventi governativi. Tra i fattori di rischio che collezionisti, operatori e wealth manager vedono ancora oggi minacciare il futuro della gestione patrimoniale dell’arte troviamo, infatti, alcuni dei grandi classici del mercato dell’arte: dalle questioni relative all’autenticità e alla provenienza delle opere ai conflitti d’interesse. Per arrivare alla manipolazione di prezzi o all’utilizzo del mercato dell’arte per il riciclaggio di denaro sporto. Fino alla mancanza di standard relativi alle qualifiche professionali che dovrebbero essere necessarie per operare su questo mercato.

Insomma, il rapporto tra arte e finanza sembra stia prendendo sempre più i connotati di una sana gestione dei patrimoni artistici nelle mani dei grandi ricchi, lasciando da parte l’idea di un investimento in arte che possa essere trattato come quelli più classici (azioni ecc.). E questa è certamente un’evoluzione positiva. Se poi questa evoluzione portasse anche ad una “bonifica” del mercato dell’arte dai furbetti e ad un suo sviluppo diffuso e sostenibile, tanto per citare un termine che piace molto, non sarebbe male.

PER SAPERNE DI PIÙ’: Chi fosse interessato al testo integrale dell’Art & Finance Report 2017 di Deloitte e ArtTactic, può scaricare il documento cliccando su questo link -> http://bit.ly/ArtFinanceReport2017

Nicola Maggi
Nicola Maggi
Giornalista professionista e storico della critica d'arte, Nicola Maggi (n. 1975) è l'ideatore e fondatore di Collezione da Tiffany il primo blog italiano dedicato al mercato e al collezionismo d’arte contemporanea. In passato ha collaborato con varie testate di settore per le quali si è occupato di mercato dell'arte e di economia della cultura. Nel 2019 e 2020 ha collaborato al Report “Il mercato dell’arte e dei beni da collezione” di Deloitte Private. Autore di vari saggi su arte e critica in Italia tra Ottocento e Novecento, ha recentemente pubblicato la guida “Comprare arte” dedicata a chi vuole iniziare a collezionare.
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