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Beware Wet Paint, ossia: la pittura nel XXI secolo

del

“Perché gli artisti concettuali dipingono ancora?”. “Perchè pensano che sia una buona idea!”. E’ in questo botta e risposta secco che si può sintetizzare la nuova stagione d’oro che sta vivendo la pittura in questo primo scorcio di XXI secolo. Una pittura che, con il nuovo millennio, è diventata, sempre di più, una forma d’arte interdisciplinare, sviluppando a pieno quel potenziale d’innovazione dirompente che per troppo tempo è rimasto celato dietro l’immagine di un linguaggio solo apparentemente tradizionale. E proprio su alcuni dei nuovi percorsi presi dalla pittura si concentra la mostra Beware Wet Paint, nata dalla collaborazione tra l’ICA – Institute of Contemporary Arts di Londra – che ne ospita già da un mese una parte – e la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino dove, il 29 ottobre prossimo, ne verrà inaugurata una versione leggermente rivisitata.

 

In principio furono Christopher Wool e Jeff Elrod

 

La mostra torinese, così come la consorella inglese, ci aiuta a svelare alcuni dei rapporti che esistono tra la pratica artistica contemporanea – sempre più multidisciplinare – e l’approccio della nuova generazione di artisti alla pittura, in termini di realizzazione dell’opera e di costruzione dell’immagine. Non è certo una coincidenza, d’altronde, se la narrazione di Beware Wet Paint parte proprio da Christopher Wool, l’artista più maturo e famoso tra quelli in mostra. Wool, infatti, è oggi considerato tra i più importanti pittori americani viventi e una figura chiave per comprendere gli sviluppi recenti della pittura e il modo in cui le nuove generazioni si accostano a questo medium.

Christopher Wool – Untitled (P535), 2006
Christopher Wool, Untitled (P535), 2006

Nato nel 1955 ed emerso artisticamente negli anni Ottanta, Wool ha portato avanti con estrema coerenza un approccio analitico e rigoroso alla pittura, investigandone le condizioni di esistenza e funzionamento. Avvalendosi di una serie limitata di strumenti e operazioni, ha esplorato senza sosta quello spazio liminale in cui l’autonomia della pittura è oggetto di continua negoziazione. Fin dagli esordi è fondamentale per Wool l’interazione tra procedimento e immagine, con lavori dominati da scarabocchi, cancellature, macchie e abrasioni, che richiamano fortemente un’estetica urbana, brutale e decadente, come se il gesto pittorico volesse far eco al frastuono visivo della città. Ma il gesto che può sembrare immediato e rabbioso può anche essere estremamente calibrato, meccanico, clinico. Al suo fianco, Jeff Elrod, di 11 anni più giovane (è nato nel 1966), ma altrettanto importante per capire gli sviluppi delle pittura nel XXI secolo. Autore di quadri che combinano astrazione pittorica e tecnologia digitale, Elrod produce immagini ibride che incorporano ciò che lui stesso definisce tecniche ‘analogiche’: acrilico, nastro e pittura spray, ma anche disegni digitali ‘senza attrito’, in cui impiega software che conosce bene, come Illustrator e Photoshop. Dopo aver proiettato i suoi disegni digitali sulla tela, con lo spray ne ripassa le linee, coperte dal nastro adesivo, che viene poi rimosso rivelando l’opera finita.

 

Poi arrivarono i “Millennials”

 

Accanto a questi due numi tutelari, loro: i giovani. Tutti nati quando Wool e Elrod erano quasi due artisti mid-career e che oggi ne rappresentano, ciascuno a suo modo, l’evoluzione. Abbiamo Korakrit Arunanondchai (n. 1986) che, utilizzando materiali ‘democratici’ di uso quotidiano, che vanno dal tessuto jeans alla candeggina e al fuoco, fonde la cultura asiatica e quella occidentale, proponendo una visione caleidoscopica della spiritualità orientale e della commercializzazione occidentale. La francese Isabelle Cornaro (n. 1974) che, attraverso i suoi dipinti a spray, rivisita il tema classico dell’autonomia dell’opera d’arte, portando in primo piano l’idea che la pittura sia fondamentalmente il tentativo di riprodurre qualcosa di esistente in un’altra forma e in un altro materiale. Nikolas Gambaroff (n. 1979), invece, con le sue curatissime composizioni realizzate con l’utilizzo di una tecnica di decollage in cui applica la pittura spray a strati fra pagine tratte dai DC Comics e dai quotidiani, mette alla prova l’idea che il pubblico ha della pittura e della sua capacità di abitare un muro, ma anche di attivare uno spazio.

L’analisi della pratica pittorica, con un approccio autoriflessivo che pone al centro l’esperienza personale di creare ed esporre arte, è il fulcro della ricerca di Nathan Hylden (n. 1978) che in mostra è presente con serie di dipinti in cui l’immagine iniziale è una fotografia fatta in studio e serigrafata su fogli di alluminio che vengono in seguito sovrapposti; su di essi Hylden interviene con una serie di azioni e strumenti pittorici, dalla vernice spray alla pennellata gestuale.

Hylden Nathan, Untitled, 2010 Acrilico su alluminio 197 x 145 cm
Hylden Nathan, Untitled, 2010
Acrilico su alluminio
197 x 145 cm

C’è poi Parket Ito (n. 1986) che nei suoi quadri esplora l’idea secondo cui internet sta cambiando sempre più il nostro rapporto con il mondo reale: i contenuti e le immagini inseriti nelle sue opere sono selezionati navigando sul web e poi assemblati in collage o sottoposte a morphing digitale. Per Oscar Murillo (n. 1986) è centrale, invece, il concetto della comunità, che ha origine dalla sua personale biografia di immigrato colombiano a Londra. I suoi dipinti derivano da un lungo processo di sedimentazione, che si forma in una stasi produttiva che avviene in mezzo alla polvere dello studio dell’ artista. Le opere sono poi sviluppate ed esposte orizzontalmente, o trasformate in oggetti simili a stendardi composti da parti di tela dal formato differente e cucite assieme. Nell’opera dell’artista portoghese Diogo Pimentão (n. 1973) il disegno si fa, invece, scultura uscendo fuori dalla tela, dal foglio, per interagire con lo spazio, che diviene il suo habitat attraverso l’atto performativo dell’artista stesso.

Il corpo è, invece, il tema centrale nel lavoro di Pamela Rosenkranz (n. 1979) caratterizzato da una pittura di chiara matrice espressionista, dove solo le forme ambigue create sui telini isotermici usati come supporto, evocano un corpo umano ormai privato della propria soggettività: un involucro vuoto, che diviene pura epidermide attraverso l’abuso promozionale che ne fanno i colossi del commercio di bellezza e benessere. In questo modo, l’artista crea un cortocircuito di senso che ironizza sulla classica associazione tra Espressionismo Astratto e affermazione immediata e profonda del sé: l’esaltazione dell’inconscio passa ormai attraverso una varietà di tonalità cosmetiche. Un mix unico di Minimal, Pop e Street Art è alla base, infine, della pratica artistica dell’americano Ned Vena (n. 1982): topoi classici della pittura modernista quali la griglia, la ripetizione, la serialità, la superficie sono gli ingredienti di base di un’arte estremamente auto-riflessiva, sempre pronta a disdire, trasformare, re-inventare le potenzialità espressive del medium.

 

Ostrowski e Genzken completano il quadro

 

Due monografiche affiancano, come satelliti, la mostra Beware Wet Paint: due focus sul lavoro pittorico di un giovane, David Ostrowski, e di un’artista ormai storicizzata, Isa Genzken. La ricerca di David Ostrowski (n. 1982) sviluppa un’analisi della natura stessa della pittura. Cercando di decostruire convenzioni classiche quali composizione, stile e gestualità, Ostrowski sperimenta attraverso velocità e imperfezioni, al fine di far entrare in gioco nell’immagine accidenti ed errori.

Isa Genzken, “Basic Research”, 1989 oil on canvas 125 x 120 cm
Isa Genzken, Basic Research, 1989. Oil on canvas. 125 x 120 cm

La mostra dedicata ad Isa Genzken (n. 1948) presenta per la prima volta in Italia un ciclo di lavori della fine degli anni Ottanta, un corpus di opere pittoriche meno note rispetto alle sculture e installazioni per cui Genzken è famosa. Sono olii su tela monocromatici che suggeriscono già nel nome, Basic Research, l’inizio di un percorso di sconfinamento e d’interazione con l’ambiente. Si tratta infatti di frottage del pavimento del suo studio, a metà tra pittura e scultura, che cercano una comunicazione non verbale con spazio e spettatori.

Nicola Maggi
Nicola Maggi
Giornalista professionista e storico della critica d'arte, Nicola Maggi (n. 1975) è l'ideatore e fondatore di Collezione da Tiffany il primo blog italiano dedicato al mercato e al collezionismo d’arte contemporanea. In passato ha collaborato con varie testate di settore per le quali si è occupato di mercato dell'arte e di economia della cultura. Nel 2019 e 2020 ha collaborato al Report “Il mercato dell’arte e dei beni da collezione” di Deloitte Private. Autore di vari saggi su arte e critica in Italia tra Ottocento e Novecento, ha recentemente pubblicato la guida “Comprare arte” dedicata a chi vuole iniziare a collezionare.
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