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I dieci anni della Blacksmokes series di Laura Santamaria

del

Laura Santamaria, artista classe 1976, da anni vive e lavora tra Londra, Como, la Spagna e numerosi altri luoghi cui giunge spinta dal piacere e la necessità di viaggiare. Partecipe di numerose residenze d’artista, in tali occasioni è solita lavorare su progetti dedicati, realizzare ed esporre opere per lo più installative ed in dialogo con il contesto, per le quali utilizza diversi media, dalla scultura alla fotografia, la pittura e la grafica.

L’installazione site specific ed i progetti pubblici sono da sempre di interesse primario nella pratica artistica di Laura, che lavora dal Duemila con un occhio di riguardo in particolare da parte delle istituzioni, sia private che pubbliche. La sua ricerca artistica negli ultimi anni si è focalizzata sull’utilizzo di materia pura – in particolare cinque elementi quali il fuoco, i pigmenti, i cristalli, la luce ed i pianeti – cui si avvicina con metodo, cominciando da uno studio approfondito a livello conoscitivo, mosso spesso dal dialogo tra spirito e materia, che a seguire imbocca la strada del processo artistico individuale, sempre fortemente sperimentale. Nei suoi lavori sono molti i riferimenti alla storia dell’arte e a discipline quali la gemmologia, l’archeologia e la scienza in generale. Il linguaggio del Cosmo, così complesso da interpretare, e la forma della materia proposta nella sua produzione come frammento dell’universo, consentono al pubblico di prendere parte e scoprire una dimensione misteriosa ed emozionale.

Laura Santamaria, Hypnero (Erotic Dream) 2015 making of detail - Exhibition view London Open 2015, courtesy Whitechapel Gallery
Laura Santamaria, Hypnero (Erotic Dream) 2015 making of detail – Exhibition view London Open 2015, courtesy Whitechapel Gallery

È proprio sull’analisi del pensiero dietro ad una serie come i Blacksmokes, che costituiscono un nucleo di una trentina di opere prodotte in un arco temporale pari a dieci anni, ognuna con forme e dimensioni diverse, realizzate su supporti differenti – che spaziano dalle carte e tele ai supporti murali e al vetro – che stiamo lavorando come Project Marta – Monitoring Art Archive, per realizzare una schedatura tecnica completa.

A partire dall’intervista con l’artista, abbiamo appurato come i Blacksmokes siano stati realizzati attraverso l’utilizzo e la sperimentazione di svariati materiali e conduttori, che hanno previsto numerose prove ed esperimenti. In questi casi specifici la sensibilità delle opere è parte delle stesse, e se per alcune di esse è possibile pensare ad una protezione che garantisca la durata dell’impronta del fuoco nel tempo, soprattutto per le opere site specific occorre un’accortezza maggiore, ed evitare che i fruitori si avvicinino troppo o che provino a toccarle. Una testimonianza che Project Marta raccoglie e documenta per tutte le opere della serie, redigendo una carta d’identità per ognuna, raccogliendo tutte le informazioni utili a conoscerle in profondità, e quindi a tutelarle nel corso della loro esistenza.  La consulente Elisabetta Canna, restauratrice specializzata nella gestione del contemporaneo, affianca Project Marta nell’analisi e nella compilazione.

Benedetta Bodo di Albaretto: Blacksmokes series, è frutto di una ricerca affascinante, incentrata su alchimia e metamorfosi, cominciata nel 2008 e periodicamente riaffrontata lavorando con supporti e tecniche differenti. Un progetto creativo affascinante e complesso, perché incentrato sulla riflessione ed interpretazione personale della potenza del fuoco, una delle cinque Materie da te predilette. Potresti raccontarmi meglio cosa ti ha ispirata, come e perché hai cominciato ad utilizzare il nerofumo nel tuo fare artistico?

Laura Santamaria: «Lo Zolfo (La Luna) è stata la prima opera della serie dei nerofumo, l’ho realizzata nel 2008 ed è tuttora visibile quale opera permanente della Fondazione Spinola Banna. Ho iniziato a lavorare con la fiamma – al vivo – durante la residenza del corso post universitario con Jorge Peris. Sono stati molti i passaggi che mi hanno portato a raggiungere questo elemento: grazie a Jorge – che mi ha portata a trovare gli estremi più radicali del processo con cui fino ad allora realizzavo le mie opere – è stato come compiere un atto chirurgico verso l’essenziale, ed ho subito capito che non mi sarebbe interessato altro che lavorare con la materia, un atto appunto radicale, puro e secco. Nerofumo è poi il termine che Guido Costa scelse per la definizione della materia ed ho sempre mantenuto questa dicitura per definirne il corpo. Il Fuoco è dunque emerso dai miei lavori, ed io ho scoperto uno dei miei elementi espressivi chiave, al centro di molte indagini e ricerche. Certamente per arrivare a questa consapevolezza è stata essenziale la mia relazione con la natura – esplorata in precedenza attraverso un insieme di progetti realizzati, ad esempio site specific estemporanei nel paesaggio – e la mia suggestione verso il sublime romantico, che ha un’origine emotiva e percettiva prima che concettuale, tramite cui ho trovato il “mio” fuoco. […] Ho accolto il carattere metafisico di questa ricerca come un grande dono, perché capace di rivelare i misteri di quella parte di iconografia che noi tutti conosciamo. Una chiave che porta con sé l’intento con cui si sceglie di vivere ed abitare l’arte, ossia la necessità di un’indagine, intima quanto cosmica. Nella fiamma trovo quella forma di pace che si raggiunge nella consapevolezza di poter essere parti di una fiamma quanto di una stella, di perdere quindi ogni senso della rappresentazione o del soggetto, a favore della possibilità di innescare un processo, una metamorfosi, che agendo esteriormente si compie anche nel sé e viceversa».

Laura Santamaria, Hypnero (2012) Site specific project for Palazzo Ducale – Sala Dogana, Genova Courtesy Ducale – Sala Dogana, Genova
Laura Santamaria, Hypnero (2012) Site specific project for Palazzo Ducale – Sala Dogana, Genova Courtesy Ducale – Sala Dogana, Genova

B.B.: Ciascuna delle opere della serie nerofumo ed in particolare Cosmo celebrates its experience through the Flame and me è una sintesi evidente di equilibrio più o meno precario e delicata fragilità, il titolo evidenzia come si debba prestare attenzione ai punti di contatto, al momento in cui le cose succedono. In generale, quanto sono importanti i titoli che scegli per i tuoi lavori?

L.S.: «I titoli costruiscono l’ordine concettuale a cui la mia opera approda, ogni titolo è un momento specifico, sono stati di consapevolezza o di poesia, cerco di concentrare in qualche parola un messaggio, una chiave di lettura dell’opera, o un vero e proprio nome o un momento significativo in cui il lavoro è stato creato. Cosmo celebrates its experience through the Flame and me è un’opera che porta nel titolo il concetto in cui è una energia universale, incommensurabile rispetto alla nostra esistenza umana, che spinge gli elementi a manifestarsi attraverso forme di energia, talvolta l’operato di un artista è un elemento di questa energia, quindi uomo e fuoco sono all’unisono rispetto a questo disegno universale. Talvolta l’operato di un artista è un elemento di questa energia, quindi uomo e fuoco sono all’unisono rispetto a questo disegno universale. Ad esempio, Hypnero 2011/2015 è un titolo nato da Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna (1499), un libro che descrive un percorso attraverso la natura e architetture metafisiche composte da giardini rinascimentali e disegni grafici attraverso cui l’autore conduce il lettore, ambientandolo in questo viaggio che Polifilo compie per raggiungere ed unirsi all’amata Polia».

B.B.: Il tuo lavoro è sia di ricerca e di costruzione, sia di progettazione e improvvisazione. Lo dico pensando a quanti diversi supporti e media hai utilizzato e in quante diverse condizioni: candele, uno stick da mangia fuoco creato per te dal designer Davide Cattaneo, alcuni antichi fiammiferi che lasciano una traccia di zolfo molto evidente… Mi puoi raccontare i tempi di “incubazione”, il processo creativo che ha portato alla progettazione ed alla realizzazione di queste opere, e quanto cambia per ognuna appartenente alla serie Blacksmokes?

L.S.: «Contrariamente a quanto possa sembrare, ed in contraddizione con la natura estemporanea e imprevedibile di molte mie opere, la scelta degli strumenti e delle materie che impiego è invece accuratissima, quasi pedante. Concepisco queste opere come un insieme, come se tutto facesse parte di un’unica opera che viene sviluppata attraverso declinazioni progettuali ogni volta diverse. Sono abbastanza maniacale nella scelta di ogni oggetto che diventerà parte del processo di realizzazione, in questo frangente nulla è lasciato al caso, e nel momento in cui installo un’opera tutto è già stato analizzato ampiamente. Questo mi permette il piacere dell’improvvisazione, parto in fondo da una sicurezza molto solida, e la gestualità che posso offrire è un distillato di libertà che passa attraverso molta pratica, una tecnica che perfeziono continuamente. Il gesto che compio deve essere rigorosamente perfetto, non è contemplato l’errore, non è possibile cancellare una linea di nerofumo, quindi il controllo della mia gestualità è quasi totale, non posso concedermi nessuna distrazione. […] La preparazione della tela è sempre fondamentale, ed anche il fissativo finale, che però non viene dato su tutte le superfici, ad esempio sui vetri o le pareti. In particolare ho usato alcuni gessi da miscelare alla preparazione della tela e cerco di usare prodotti non aggressivi per rispettare la consistenza e la traccia opaca del nerofumo. Per quanto riguarda la fiamma e le tipologie di fumo, cerco espedienti sempre diversi con cui produrre la fiamma e le tipologie di fumo, più grasse o più secche in base alla combustione. Prediligo la fiamma libera, e il mio strumento preferito è una bacchetta creata per me dal designer Davide Cattaneo. Le prove sono fondamentali, poiché dalla raffinazione della cera o del liquido infiammabile dipende molto del risultato finale».

Laura Santamaria, Blacksmoke Berlin Series 1/2/3 (2012)
Laura Santamaria, Blacksmoke Berlin Series 1/2/3 (2012)

B.B.: Come componi le singole opere? Parti da un’idea, una visione, e ricerchi i movimenti adatti a riprodurre determinati segni, tracce ed impressioni? Consideri quali sono le migliori condizioni compositive, anche in termini di posizionamento, di correnti d’aria oppure improvvisi?

L.S.: «Lavorare con la fiamma significa disegnare all’interno di uno spazio in cui il fuoco è un elemento vivo e non solo uno strumento di disegno. Questo scarto “radicalizza” l’intento di disegnare, lo pone come atto puro e metafisico, ed allo stesso tempo azzera lo scarto tra gesto e strumento.  L’immediatezza del gesto va oltre il linguaggio del disegno e le sue caratteristiche tipiche, generando un’evoluzione in un sistema basato sull’immediatezza, sull’autenticità espressiva e processuale. Ogni opera è un processo a sé, posso dire che l’accordo con le condizioni dello spazio è la costante da cui parto, e che cerco di essere sensibile alle possibilità che mi vengono offerte dal contesto. Intendo dire che lavorando con il fuoco ho conosciuto l’aria, la fiamma che si muove e compie la sua danza mossa da un minimo soffio, ovvero un aspetto, una caratteristica che rispetto molto e di cui devo tenere conto, perché non farlo sarebbe come ignorare il fuoco nella sua essenza vitale. Ogni traccia e segno sono poi una calligrafia, un alfabeto con cui decifrare entrambi gli elementi – aria e fuoco – che sono sempre il punto di partenza di ogni opera, ed ogni opera rappresenta l’evolversi di questo linguaggio».

B.B.: Conservazione e manutenzione preventive: esistono delle misure specifiche per la tutela dei Blacksmoke? In generale, sei solita lasciare indicazioni per garantire una corretta gestione dei tuoi lavori?

L.S.: «Per la conservazione in generale vale il principio che si può applicare a qualsiasi genere di opera in fatto di stabilità dell’ambiente, umidità e temperatura, che va valutato e controllato a monte per le installazioni e le esposizioni temporanee. Per quanto riguarda i Blacksmokes è poi fondamentale che non venga toccata la superficie, anche le opere su carta o tela è bene che vengano trattate in modo che nulla vada a sovrapporsi direttamente alla traccia lasciata dal fuoco. La polvere superficiale può essere rimossa utilizzando un delicato getto d’aria. Con questi accorgimenti, ed avendo usato materiali di qualità, le prime opere del 2008 dopo dieci anni risultano perfettamente integre e conservate».

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