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Diario bolognese #3: Il (dis)orientamento statico di SetUp

del

Di SetUp, collaterale di Arte Fiera nata quattro anni fa, ho sempre parlato bene. Mi è sempre piaciuto il progetto fresco e il format innovativo, in grado di dar voce alle gallerie che lavorano con gli artisti più giovani tracciando, in qualche modo, un ritratto della possibile arte italiana del futuro. Quest’anno, invece, non ho trovato niente di tutto ciò. Al di là dell’allestimento, sempre molto curato, la sensazione che ho riportato dopo la visita all’Autostazione di Bologna, che ospita l’evento, è stata quella della staticità. Molte gallerie hanno presentato opere già viste lo scorso anno, o comunque troppo simili, come se i dodici mesi passati non avessero apportato alcuna evoluzione nella ricerca e nel linguaggio degli artisti proposti, molti dei quali troppo giovani per essersi già fermati. Anche il tema scelto per questa edizione, l’Orientamento, non sembra aver ispirato molto e solo pochi espositori hanno proposto lavori in linea con quello che doveva essere il fil rouge della fiera. Come se, più che orientare galleristi e artisti, li avesse disorientati. Tanto che alla fine, il vero tema dominante mi sembra sia stato il disegno, vero protagonista di SetUp 2016 e filo conduttore per molti degli stand .

Valentiona D'Accardi, vincitrice del Premio SetUp miglior artista under 35 (Galleria ABC). Foto: Massimiliano Capo
Valentiona D’Accardi, vincitrice del Premio SetUp miglior artista under 35 (Galleria ABC). Foto: Massimiliano Capo

E che SetUp 2016 sia andata un po’ fuori tema credo lo dimostri anche il fatto che il Premio SetUp miglior artista under 35 sia andato a Valentina D’Accardi, della Galleria ABC, con il progetto Fiume. Un lavoro molto bello, delicato e profondo, ma che con l’orientamento – in qualunque accezione lo si voglia intendere – ha ben poco a che fare. Il progetto presentato da D’Accardi nasce da una vicenda e un dolore personale, la morte della nonna materna, Elsa, che si è tolta la vita gettandosi in un fiume quando era ancora giovane, lasciando tre figli. Un gesto che, all’epoca (era il 1972) fu archiviato come l’atto di una donna “esaurita”. Nel suo lavoro l’artista bolognese rivive questo ultimo momento, ripercorrendo quello stesso fiume, quasi a voler metabolizzare, capire, una questione familiare mai risolta, da sempre celata dal silenzio, come se fosse una vergogna. Nelle foto che compongono il progetto, Valentina si ritrae vestita con gli stessi abiti che indossava la nonna in quel tragico giorno, realizzando un gesto che in parte omaggia Elsa e allo stesso tempo esorcizza quel ricordo ingombrante. Ma che pone anche questioni delicate come quelle relative alla condizione della donna nella società anche odierna, in un continuo contrappunto tra abbandono e assenza, tra il dolore dei figli rimasti soli e ritratti nelle foto senza nulla attorno, e quello che deve aver provato Elsa per arrivare a quel gesto estremo.

Valentina D'Accardi, Fiume, 2015
Valentina D’Accardi, Fiume, 2015

Oltre al lavoro di Valentina D’Accardi, che merita a pieno il premio ricevuto, sono poche le cose che mi hanno realmente colpito e, ad esser sinceri, l’unico stand, tra i 44 presenti, che ha catturato completamente la mia attenzione è stato quello della White Noise Gallery che, giustamente, si è aggiudicata il Premio Residenza Sponge ArteContemporanea, riservato al miglior curatore Under35. Eleonora Aloise e Carlo Maria Lolli Ghetti, che hanno curato lo spazio, hanno fatto veramente un lavoro superbo, dando vita ad un progetto che non solo ha centrato a pieno il tema di SetUp 2016, ma lo ha fatto mettendo insieme tre artisti molto bravi: Stefano Gentile, Luca di Luzio e Bruno Cerasi. In particolare questi ultimi due hanno presentato a Bologna due lavori che potevano tranquillamente essere esposti ad Arte Fiera. Luca di Luzio, con il progetto Atlas, crea una nuova geografia dove i territori nascono dalle impronte del suo stesso corpo impresse sulla carta. Con questo lavoro, raccolto anche in un prezioso Libro d’Artista, Di Luzio pone l’uomo al centro di questo mondo, ma non per semplice antropocentrismo, quanto per richiamarlo ad un compito estremo, quello di ridefinire se stesso nello spazio dando vita ad un nuovo umanesimo in cui la vita torni ad essere l’elemento centrale.

Luca Di Luzio, Atlas, 2015 (particolare)
Luca Di Luzio, Atlas, 2015 (particolare)

Bruno Cerasi, invece, ha presentato un’installazione composta da due parti: una scultorea, che replica il pendolo di Focault e le cui oscillazioni tracciano sulla superficie metallica di una mappa del mediterraneo le rotte dei migranti, e una fotografica, dove su immagini di città sono riprodotte le silhouette di uccelli. Due parti in continuo dialogo e che evidenziano un sistema di orientamento parallelo, contrapposto a quello naturale. Un sistema che l’uomo ha creato perché spinto, nel suo migrare da un luogo all’altro, da necessità del tutto particolari, come il benessere, la ricchezza e il progresso che diventano, nel lavoro di Cerasi, le nuove stelle polari, il nord fittizio verso cui puntano le bussole dell’umanità.

Bruno Cerasi, Senza Titolo, 2015
Bruno Cerasi, Senza Titolo, 2015

Interessante anche il lavoro di Mattia Di Rosa, presentato da Exfabbricadellebambole e che sembra la reificazione di misteriose tracce mnemoniche che si riversano sulla carta sotto forma di formule leggere ed imprevedibili, appunti di infinite storie, quasi dei “doodle” che aiutano a pensare e concentrarsi, orientandoci in un mondo al limite dell’onirico.

Mattia di Rosa, Senza titolo, 2015
Mattia di Rosa, n. 33, 2015

Un’apparente casualità, quella del lavoro di Di Rosa, che ritroviamo anche in A casa ovunque, lavoro di Sveva Angeletti esposto nello stand della galleria Marta Massaioli Arte Contemporanea e composto da una serie di oggetti disposti sul pavimento, tutti appartenenti al vissuto dell’artista, souvenir di vita di cui l’osservatore si può idealmente appropriare scrivendo, così, il proprio racconto, illustrare la propria esperienza di essere umano nel mondo.

Sveva Angeletti, A casa ovunque, 2015
Sveva Angeletti, A casa ovunque, 2015

Infine, ci piace citare lo stand della Riccardo Costantini Contemporary dove domina ricerca_d_identità di Gigi Piana che elegge a personale cifra stilistica due elementi fondamentali, l’intreccio e la trasparenza, utilizzati per suggerire direzioni, per dare strumenti di possibile comprensione del reale, nell’ottica di un’arte attiva, vitale e viva, compartecipata. Un orientamento, quello narrato da Piana, che parte dall’esperienza personale e dalla tradizione della sua terra di origine, il biellese, che lo vede intessere tele macroscopiche partendo da stampe di acetato trasparente con nudi di donna e di uomo. Fino a sconfinare nella dimensione globale con i planisferi e i globi in cui l’intreccio e la trasparenza fanno da base viva e mobile alla labilità dei confini geografici, in continua mutazione e permeabili, denunciando la fragilità degli ecosistemi globali.

Nicola Maggi
Nicola Maggi
Giornalista professionista e storico della critica d'arte, Nicola Maggi (n. 1975) è l'ideatore e fondatore di Collezione da Tiffany il primo blog italiano dedicato al mercato e al collezionismo d’arte contemporanea. In passato ha collaborato con varie testate di settore per le quali si è occupato di mercato dell'arte e di economia della cultura. Nel 2019 e 2020 ha collaborato al Report “Il mercato dell’arte e dei beni da collezione” di Deloitte Private. Autore di vari saggi su arte e critica in Italia tra Ottocento e Novecento, ha recentemente pubblicato la guida “Comprare arte” dedicata a chi vuole iniziare a collezionare.

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