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Mostre: alla GAMeC di Bergamo Mauri, Pistoletto e…

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Il 6 ottobre la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo ha inaugurato due mostre parallele, entrambe a cura di Giacinto Di Pietrantonio, su Fabio Mauri e Michelangelo Pistoletto (finissage il 15 gennaio 2017).  Mauri (1926-2009) e Pistoletto (1933): due artisti importantissimi riconosciuti come tali già nella loro maturità, ma nello stesso tempo oggetto di una “riscoperta” in questi ultimi anni anche da parte del mercato. Pistoletto — Premio Wolf per le arti nel 2007 e Premio Imperiale 2013 — nel 2015 ha occupato l’83° posto nella lista dei 500 Top Artists stilata da ArtPrice (4° italiano dopo Modigliani, Fontana e Burri!) con un fatturato di vendite globale di quasi 28 milioni di dollari e la migliore aggiudicazione a $ 3.861.000.

Fabio Mauri, a sua volta, ha avuto un boom di mercato negli ultimi anni: proprio mentre scrivo, arriva la notizia del suo nuovo record d’asta stabilito da Sotheby’s a Londra con Schermo Imbottito Mario (II generazione) “Un tasca di cinema”, opera del 1972 aggiudicata per 100.000 sterline (buyer’s premium escluso). Ancora più notevole è stata però la vendita di uno dei suoi Schermi per circa 1 milione di dollari durante la retrospettiva newyorchese dello scorso anno a lui dedicata, organizzata dalla galleria Hauser&Wirth e intitolata Fabio Mauri. I was not new. Ecco quindi che la mostra di Bergamo giunge opportunamente a ripercorrere carriere ed evoluzione di questi due artisti allo stesso tempo storici e “di moda”, schematicamente considerati protagonisti delle più innovative (a livello internazionale) tendenze italiane degli anni Sessanta/Settanta: Arte Concettuale e Arte Povera.

 

Fabio Mauri: Arte per legittima difesa

 

Mauri è stato un artista eclettico. Oltre che di arte figurativa si occupò di letteratura, teatro e cinema: in contatto con figure del calibro di Italo Calvino, Umberto Eco, Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini nonché con gli esponenti del Gruppo 63 fu, tra l’altro, fondatore della rivista Quindici oltre che, per un periodo, presidente delle Messaggerie Italiane e della casa editrice Garzanti. Nipote di Valentino Bompiani, nel 1961 assieme ad Achille Perilli promosse per l’Almanacco Letterario della casa editrice un’estesa inchiesta sul tema Morte della Pittura?

Questa interdisciplinarità si riflette sulla sua attività di artista visuale — dalle opere denominate Schermi (la cui produzione iniziò nel 1957) alle performance realizzate a partire dagli anni Settanta — come sulla sua poetica in generale, incentrata sul problema dell’ideologia e del linguaggio come meccanismo manipolatorio da parte del potere politico e mediatico. Emblematica in questo senso l’opera-libro Linguaggio è guerra (1974) — riproposta a Bergamo — in cui a decine di foto del secondo conflitto mondiale, tratte da riviste inglesi e tedesche coeve, viene apposto un timbro che recita: Language is war.

GAMeC - Fabio Mauri, Vive, 2005
Fabio Mauri, Vive, 2005

Più volte invitato alla Biennale di Venezia tra il 1954 e il 2003, la prima retrospettiva a lui dedicata ebbe luogo nel 1994 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Coerentemente con la sua poetica, l’artista nutrì sempre un aperto disinteresse per il mercato e le sue logiche: appena qualche decina di opere passò in asta lui vivente. La vera riscoperta della sua produzione è così iniziata nel 2012, con la grande retrospettiva allestita a Palazzo Reale a Milano e la presenza a Documenta (13), seguite dagli omaggi nelle Biennali di Venezia 2013 e 2015 e da altre retrospettive, fino a quella di New York. Suoi lavori sono stati poi acquisiti dal Centre Pompidou di Parigi e dalla Collezione Pinault che li ha esposti all’interno della mostra Accrochage a Punta della Dogana a Venezia, tuttora in corso (altre opere erano state incluse, sempre a Venezia, nella mostra Imagine. Nuove immagini nell’arte italiana 1960-1969 alla Collezione Peggy Guggenheim).

GAMeC - Fabio Mauri, CinaASIANuova, 1996
Fabio Mauri, CinaASIANuova, 1996

La mostra della GAMeC, dal titolo Fabio Mauri: arte per legittima difesa, si concentra soprattutto sulla produzione degli anni 1992-1997, pur non mancando gli Schermi degli anni Sessanta; particolarmente interessanti l’installazione CinaASIANuova (1996), in cui il muro di valigie (un’icona all’interno della produzione di Mauri) viene rivisitato con riferimento agli accadimenti di Piazza Tienanmen, e la serie Autobiografia come teoria del 1997, in cui oggetti di uso quotidiano trovati sulle bancarelle dei mercatini vengono esposti «come se si tentasse la ricostruzione archeologica di un’esistenza. Frammenti di vite che non abbiamo vissuto, ma che potrebbero essere la nostra», come scrive il curatore della mostra. L’opera più straordinaria è però a mio parere Vive del 2005, in cui la parola fine — protagonista di tanti Schermi — è barrata con accanto il segno convenzionale (“Vive”, appunto) che i correttori di bozze editoriali appongono quando sbagliano la correzione e la annullano, riconfermando così quanto scritto originalmente.

 

Michelangelo Pistoletto: immagini in più, oggetti in meno, un paradiso ancora

 

Michelangelo Pistoletto è conosciuto soprattutto per il suo lavoro sulle superfici specchianti: «Nel marzo del 1962 esposi alla Promotrice di Torino il primo quadro specchiante, intitolato Il presente. L’uomo dipinto veniva avanti come vivo nello spazio vivo dell’ambiente; ma il vero protagonista era il rapporto di istantaneità che si creava tra lo spettatore, il suo riflesso e la figura dipinta, in un movimento sempre “presente” che concentrava in sé il passato e il futuro, tanto da far dubitare della loro esistenza: era la dimensione del tempo», scriveva l’artista nel catalogo di una mostra tenuta alla Bertesca di Genova nel 1966. Lo specchio quindi come «finzione più aderente alla realtà», per citare ancora l’autore (questa volta in un catalogo del 1964); «Bisogna trovare il punto in cui convergono le tre dimensioni più la staticità e il movimento» (ancora dal catalogo del 1966). Le tre dimensioni spaziali e la quarta: il tempo; figura e rappresentazione; dualità e identità: concetti fondanti della poetica di Pistoletto, da cui si evince come le ricerche di Arte Concettuale e Arte Povera, pur nelle loro diversità di fondo, abbiano in realtà battuto strade a volte limitrofe (e in questo senso è molto fecondo l’immediato confronto proposto dalla mostra bergamasca).

GAMeC - Michelangelo Pistoletto, Gabbia, 1963
Michelangelo Pistoletto, Gabbia, 1963

La retrospettiva della GAMeC si concentra principalmente sui Quadri specchianti, appunto, e sulla serie degli Oggetti in meno, che negli anni 1965-1966 si affiancò alla produzione degli specchi, essendo concettualmente complementare ad essa (l’opera come “verifica del reale”: reinterpretazioni iperstilizzate di oggetti di uso quotidiano, che assurgono anche a riflessione critica sulla società dei consumi e sull’arte che la rappresenta, in polemica col trionfalismo immaginifico della Pop Art). La mostra presenta però anche opere meno conosciute della produzione di Pistoletto degli stessi anni — da un olio su tela, Fontana luminosa, a una materica Mica sempre su tela; dalle tre grandi tele curvate di Teletorte a una Foto di Jasper Johns “trasformata” poi ne Le orecchie di Jasper Johns — oltre al recente progetto Terzo Paradiso, ideato nel 2003 e inteso come work in progress reinventabile site-specific.

GAMeC - Michelangelo Pistoletto, Teletorte, 1965-66
Michelangelo Pistoletto, Teletorte, 1965-66

I 23 Quadri specchianti esposti (più altri due lavori pure basati sull’uso dello specchio) costituiscono comunque la spina dorsale della mostra, ripercorrendo cronologicamente tutta la produzione dell’autore, dal 1962 al 2015: bellissimi, in particolare, Gabbia (1963), Pay-toll (1973) e il grande Persone in coda del 2015.

 

Ma alla GAMeC ci sono anche Benvenuto e Thomson

 

Il vernissage del 6 ottobre della GAMeC riguardava in realtà anche altre due esposizioni: Scala 1:1, una personale dedicata a Carlo Benvenuto (1966) sempre a cura del Direttore della GAMeC Di Pietrantonio (fino al 13 novembre) e il video G24/Ovββ di Jol Thomson (1981), anch’esso in mostra fino al 13 novembre. Di Benvenuto sono interessanti le grandi nature morte fotografiche (appunto in scala 1:1), realizzate sovrapponendo più scatti sul medesimo negativo fotografico (quindi senza alcuna utilizzazione del digitale, neanche in postproduzione) con uno straordinario effetto pittorico. Si tratta di lavori creati appositamente per questa esposizione, mentre del 1999 è una divertente installazione con tre bicchieri apparentemente pieni d’acqua fino all’orlo, in realtà completamente fusi in vetro di Murano.

GAMeC - Carlo Benvenuto, Senza Titolo, 1999
Carlo Benvenuto, Senza Titolo, 1999

Bellissimo infine il video dell’artista canadese Jol Thomson, vincitore del Meru Art*Science Award 2016, premio che la GAMeC assegna annualmente in collaborazione con la Fondazione MERU/Medolago-Ruggeri per la ricerca biomedica e con l’Associazione BergamoScienza, destinato a un progetto che coniughi la videoarte alla ricerca scientifica. G24/Ovββ (21 min. di durata) è il risultato di una collaborazione con i Laboratori Nazionali del Gran Sasso in Abruzzo, ove è in corso un esperimento che potrebbe fornire importanti informazioni sulla massa dei neutrini. Senza mettere in ombra la complessità dell’argomento, il video si nutre di immagini estremamente suggestive e di un montaggio abilmente sincronizzato con la musica dello stesso Thomson: un bell’esempio di creatività ispirata da panorami spesso ritenuti lontani dalla ricerca artistica.

Sandro Naglia
Sandro Naglia
Nato nel 1965, Sandro Naglia è musicista di professione e collezionista d’arte con un interesse spiccato per gli astrattisti italiani nati nei primi decenni del Novecento e per quelle correnti in qualche modo legate al Pop in senso lato (Scuola di Piazza del Popolo, Nouveau Réalisme ecc.).

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