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#gruppidiinteresse. Tessendo storie di comunità: i murales di Keith Haring

del

È possibile tracciare una mappa immaginaria nella quale un muro a Pisa è legato a filo diretto con un muro a Melbourne, diversi muri delle banchine della New York Subway, e una trentina di altre pareti sparse in tutto il mondo, marchiate con le caratteristiche figurine stilizzate che vibrano su campiture sgargianti: i radiant boys.

Essi sono il riconoscibilissimo stilema di Keith Haring, l’artista americano che più di ogni altro ha saputo coniugare attitudine urban, mentalità pop e logiche di mercato, aprendo di persona il proprio gift shop in quel di Manhattan, dove non si faceva problemi a vendere pezzi unici e magliette tirate in serie come avessero lo stesso valore artistico.

Tuttomondo, il celebre murale dipinto nel giugno 1989 sotto il cielo di Pisa, è l’opera pubblica più importante che abbia mai eseguito – lo diceva l’artista stesso in un passo de suoi diari -, caricata di ulteriori significati dalla sua morte, sopraggiunta appena qualche mese dopo per complicazioni dovute all’AIDS.

È interessante il racconto fornito dallo stesso Piergiorgio Castellani, l’allora ventenne che di Haring divenne amico in maniera incredibile, incrociandolo un giorno per le strade di SoHo, tanto da convincerlo a sbarcare nella città toscana provincia dell’impero e impegnarsi in un progetto che doveva sembrare ai più un’anomalia nella Pisa di Buffalmacco e dell’antico splendore medievale.

Nessuna commissione, nessun bando, nessun premio, solo lo spirito d’iniziativa di Castellani e dall’artista stesso nel proporre il progetto all’attenzione della comunità, del Comune e del parroco di Sant’Antonio, che avrebbe poi messo in prestito la grande parete esterna.

Una settimana di lavoro che, tra musica, bevute e molta partecipazione popolare (come testimonia questo bellissimo video), assunse effettivamente la dimensione dell’happening.

Tuttomondo è quindi nato in maniera non premeditata, seguendo l’istinto di un gruppo d’interesse (abbiamo anticipato questo concetto in Paik, Cage e la conservazione) che era inizialmente formato da Piergiorgio e Keith, allargato quindi alla cerchia degli amici, e, attraverso il passaparola, a tutte le persone che nel progetto si identificavano, attribuendogli un valore che non è scemato nel tempo, ma si è anzi inscritto nell’eredità culturale della città e dei suoi giovani – il cui linguaggio di Haring era più prossimo -, nel frattempo diventati adulti. Pisa ha modificato il proprio DNA: la città della Torre, della Normale e del Giugno pisano, ma anche di Tuttomondo.

Date queste premesse, pare del tutto naturale l’interesse suscitato dall’intervento di restauro del 2011, tanto a livello tecnico che di opinione pubblica. Conferma di quanto appena detto, ovvero che Tuttomondo non era solo un bel pezzo di street art, ma anche parte dell’identità di una Pisa che vedevo esso come patrimonio vivente.

Mentre questo succedeva a Pisa, nella lontana Collingwood, zona tutt’altro che centrale di Melbourne, la comunità di quartiere denunciava l’incipiente processo di degrado sofferto dal murale Untitled, eseguito da Haring sulla parete esterna di un istituto scolastico durante un viaggio del 1984. Un’opera precedente a Tuttomondo, nata in condizioni simili seppur meno romantiche e fatalistiche.

Sebbene l’opera fosse formalmente iscritta nel registro nazionale dei monumenti tutelati, complice il progressivo disuso dell’edificio e il temporeggiamento delle istituzioni, l’incuria stava facendo del colore usato dall’artista un’ombra sempre più labile.

Anche in questo caso, fu l’interesse degli abitanti del quartiere – molti dei quali erano i giovani studenti dell’istituto quando Haring aveva regalato l’opera alla comunità, e come i ragazzi di Pisa la sentivano ormai parte della propria identità culturale – a mettere in moto la macchina istituzionale, facendo pressioni sulle istituzioni perché richiedessero l’intervento della stessa équipe italiana che aveva curato il restauro pisano, guidata da Antonio Rava in collaborazione con la Keith Haring Foundation.

Da Pisa a Melbourne, ritornando sulla mappa immaginata in apertura all’articolo, tirando il filo fino a Parigi ed Amsterdam (dove sarà restaurato il più grande murales mai realizzato da Haring), costruendo le maglie di una rete che si allarga sempre più, rispolverando storie di comunità e di quartieri che meritano di essere raccontate.

Gruppo di interesse

Gruppo di persone che forma una comunità per cui un oggetto culturale costituisce un valore d’appartenenza da conservare, tramandare e raccontare.
Francesco Niboli
Francesco Niboli
Restauratore di dipinti antichi e contemporanei, ha intrapreso un percorso di approfondimento del design grafico e dell’arte del ‘900 italiano collaborando con Fondazione Cirulli di Bologna. Ha partecipato alla scrittura del libro "Milano, la città che disegna", catalogo del neonato Circuito lombardo Musei Design. Attualmente collabora come grafico con la casa editrice indipendente Sartoria Utopia.
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