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Marina Abramović: The Cleaner

del

Che cosa si può dire su Marina Abramović che non sia stato già detto? Questa artista già consegnata alla storia, the grandmother of the performance art — come lei stessa si è definita — ha riscosso dopo il 2010, anno della sua retrospettiva al MoMA di New York per la quale creò la performance The Artist Is Present, un improvviso, inaspettato successo popolare che, a partire dall’enorme numero di visitatori della mostra (850.000 in tre mesi), si è poi amplificato grazie al bellissimo documentario di Matthew Akers e Jeff Dupre, che da quella performance mutua il titolo.

Da allora, la Abramović è diventata una sorta di brand, a partire dalla costituzione del Marina Abramović Institute — un ente “immateriale” che promuove il Metodo Abramović per aumentare la consapevolezza di sé, tramite la creazione e il sostegno a eventi performativi e a una collaborazione tra arte, scienza, spiritualità e studi umanistici — per finire alle sue partecipazioni ad eventi e operazioni a volte legate al mondo del jet set americano (celebri le sue collaborazioni con Lady Gaga, Bob Wilson, Willem Dafoe, come pure con diversi stilisti e case di moda). Lei stessa ha scritto al proposito: «La mia vita professionale cambiò completamente dopo The Artist Is Present. […] Diventai una figura pubblica. La gente cominciò a riconoscermi per strada; spesso, se entravo in un locale a prendere un caffè, trovavo uno sconosciuto sorridente che insisteva per offrirmelo. Il rovescio della medaglia fu che i media cominciarono a criticarmi aspramente perché ero una star e frequentavo le star. Ma non l’avevo chiesto io. Sembra che un artista debba sempre soffrire».

Marina Abramović The Artist is Present 2010, 7- channel video installation (color, no sound), New York, Abramović LLC. Courtesy of Marina Abramović Archives and Sean Kelly, New York, MAC/2017/071Credit: Photography by Marco Anelli. Courtesy of Marina Abramović Archives Marina Abramović by SIAE 2018
Marina Abramović The Artist is Present 2010, 7-channel video installation (color, no sound), New York, Abramović LLC. Courtesy of Marina Abramović Archives and Sean Kelly, New York, MAC/2017/071Credit: Photography by Marco Anelli. Courtesy of Marina Abramović Archives Marina Abramović by SIAE 2018

D’altro canto, negli ultimi anni le derive esoterico-misticheggianti, da sempre sottostanti al suo lavoro, si sono amplificate con esiti non sempre del tutto convincenti. Eppure leggere la sua bellissima autobiografia, Walk through walls. A memoir, scritta con James Kaplan e pubblicata nel 2016 (tr. it.: Attraversare i muri. Un’autobiografia, Bompiani, 2017) aiuta a comprendere meglio il cammino lungo, spesso tormentato, di quest’artista che a settant’anni passati continua pervicacemente la propria ricerca.

Approda ora a Palazzo Strozzi a Firenze (fino al 20 gennaio dell’anno prossimo) la retrospettiva itinerante The Cleaner, curata da Lena Essling, Tine Colstrup, Susanne Kleine e Arturo Galansino in collaborazione con l’artista, realizzata grazie ad una cooperazione fra il Moderna Museet di Stoccolma, il Louisiana Museum of Modern Art di Humlebaeck, la Bundeskunsthalle di Bonn e, appunto, la Fondazione Palazzo Strozzi.

Marina Abramović interviene durante la conferenza stampa di presentazione di The Cleaner al Cinema Odeon di Firenze.
Marina Abramović interviene durante la conferenza stampa di presentazione di The Cleaner al Cinema Odeon di Firenze.

The Cleaner ripercorre tutta la carriera dell’artista proponendo anche alcune opere dei suoi esordi pittorici e “poveristi”, che precedettero la scoperta della performance avvenuta sulla scorta di figure come Chris Burden, Joseph Beuys, Gina Pane. Si parte dal cortile di Palazzo Strozzi, ove si incontra subito il furgone Citroën in cui la Abramović e Ulay vissero per tre anni girando l’Europa proponendo i loro lavori, e che fu a sua volta protagonista della performance Relation in Movement di cui è presente la documentazione video. Si entra poi nei sotterranei della Strozzina, dove inizia il percorso espositivo vero e proprio.

Ulay/Marina Abramović Relation in Movement. The Van 1975-1980, furgone Citroën Type H, megafono, installazione audio e video (Relation in Movement), amplificatore, monitor, piccola barca di legno, fotografie (b/n), testo, van cm 220 x 422 x 196. Lione, Musée d’art contemporain de Lyon. Courtesy of Marina Abramović Archives Marina Abramović by SIAE 2018
Ulay/Marina Abramović Relation in Movement. The Van 1975-1980, furgone Citroën Type H, megafono, installazione audio e video (Relation in Movement), amplificatore, monitor, piccola barca di legno, fotografie (b/n), testo, van cm 220 x 422 x 196. Lione, Musée d’art contemporain de Lyon. Courtesy of Marina Abramović Archives Marina Abramović by SIAE 2018

Esposizione di cui bisogna subito sottolineare la bellezza e funzionalità dell’allestimento, considerando anche la difficoltà intrinseca di realizzare una retrospettiva su un’artista il cui lavoro è stato per gran parte (e per definizione) effimero e in un certo senso immateriale. Delle performance storiche della Abramović viene esposta la documentazione foto/videografica — a volte peraltro accostando il materiale fotografico della prima esecuzione con videoregistrazioni di esecuzioni più recenti — ma in diversi casi viene anche ricostruito il set della performance, con un  effetto estetico notevole.

La sala con la proiezione di Marina Abramović Art Must Be Beautiful/Artist Must Be Beautiful 1975, video (b/n, sonoro), 23’36”. New York, Abramović LLC. Statens Museum for Kunst, Copenhagen, MAC/2017/027. Marina Abramović by SIAE 2018
La sala con la proiezione di Marina Abramović Art Must Be Beautiful/Artist Must Be Beautiful 1975, video (b/n, sonoro), 23’36”. New York, Abramović LLC. Statens Museum for Kunst, Copenhagen, MAC/2017/027. Marina Abramović by SIAE 2018

Perché bisogna subito chiarire un’aspetto alquanto sottovalutato di molti lavori performativi della Abramović, ovvero la loro esteticità, che li distingue dalle opere della maggior parte dei performer “storici”, usi spesso a esaurire il loro messaggio nella pura azione fisica. Nella Abramović vi è una costante attenzione all’immagine: si pensi alle simmetrie, alle stilizzazioni, alla cura di luce e colore che caratterizzano i lavori realizzati in coppia con Ulay; come pure alla capacità di concentrare una serie di sottotesti anche legati alla Storia dell’Arte nell’immagine vivente della performance (due esempi evidenti: il richiamo all’Uomo vitruviano leonardesco in Luminosity e l’iconografia barocca del memento mori in Cleaning the mirror).

Marina Abramović Spirit House-Luminosity 1997, performance for video, 5:18” min. New York, Abramović LLC. Courtesy of Marina Abramović Archives Marina Abramović by SIAE 2018
La Re-Performance di Marina Abramović Spirit House-Luminosity 1997, performance for video, 5:18” min. New York, Abramović LLC. Courtesy of Marina Abramović. Archives Marina Abramović by SIAE 2018

Sette performance vengono riproposte dal vivo, seguendo un preciso calendario, da giovani performer appositamente selezionati e formati da Lynsey Peisinger, stretta collaboratrice della Abramović: si tratta di Imponderabilia; i tre lavori della serie Freeing; Luminosity; Cleaning the mirror; The house with the Ocean view (quest’ultima, della durata di 12 giorni, avrà luogo dal 28 novembre al 9 dicembre).

Marina Abramović The House with the Ocean View 2002-2018, installazione multimediale, letto con cuscino in pietra, lavandino, sedia con cuscino in pietra, tavolo, gabinetto, base della doccia, doccia, tre scale con coltelli, metronomo, bicchiere d’acqua, vestiti. New York, Abramović LLC. Courtesy of Marina Abramović Archives e Sean Kelly, New York, MAC/2017/072. Credit: Ph. Attilio Maranzano. Courtesy of Marina Abramović Archives Marina Abramović by SIAE 2018
Marina Abramović The House with the Ocean View 2002-2018, installazione multimediale, letto con cuscino in pietra, lavandino, sedia con cuscino in pietra, tavolo, gabinetto, base della doccia, doccia, tre scale con coltelli, metronomo, bicchiere d’acqua, vestiti. New York, Abramović LLC. Courtesy of Marina Abramović Archives e Sean Kelly, New York, MAC/2017/072. Credit: Ph. Attilio Maranzano. Courtesy of Marina Abramović Archives Marina Abramović by SIAE 2018

Il percorso della Strozzina parte dai lavori giovanili dell’artista serba: da una tecnica mista su carta realizzata durante l’adolescenza ai dipinti della serie Truck Accident; da un Self-Portrait del 1965 (anno in cui entrò all’Accademia di Belle Arti di Belgrado) ai lavori legati all’immagine delle nuvole (Clouds). È interessante riconoscere le molteplici influenze di cui la giovane artista evidentemente cercava di nutrirsi, nel relativo isolamento della Jugoslavia degli anni Sessanta: alla ricerca informale dei Truck Accident si contrappone un’inaspettata ascendenza magrittiana in Black clouds coming del 1970, ma dello stesso anno è Cloud with its shadow, realizzata con una semplice arachide — un lavoro degno dei migliori esiti dell’Arte Povera.

Marina Abramović Black Clouds Coming 1970, oil on canvas, cm 200 x 140. New York, Abramović LLC. Courtesy of Marina Abramović Archives, MAC/2017/012. Marina Abramović by SIAE 2018
Marina Abramović Black Clouds Coming 1970, oil on canvas, cm 200 x 140. New York, Abramović LLC. Courtesy of Marina Abramović Archives, MAC/2017/012. Marina Abramović by SIAE 2018

Il percorso prosegue con le performance della serie Rhythm (1973-1974) e della serie Freeing (Memory, Voice, Body, 1975), oltre che con lavori meno noti come Role exchange (1975), culminando nella sala di Lips of Thomas (1975-2017). Nel 1975 Marina conosce Ulay, fotografo e performer tedesco, col quale intreccerà una relazione di vita e di arte nei successivi tredici anni. Ma prima di salire al Piano Nobile del palazzo, dove si parte dalle opere create in collaborazione dai due, vi sono tre anticipazioni di future, ulteriori fasi dell’attività della Abramović: An Artist’s Life Manifesto (1997-2014, installazione sonora), uno dei Transitory Objects for Human Use (2012) e soprattutto la documentazione di Seven Easy Pieces, le sette performance realizzate nel 2005 al Solomon Guggenheim Museum di New York.

Una vista della sala con i Seven Easy Pieces.
Una vista della sala con i Seven Easy Pieces.

L’importanza di questo lavoro risiede soprattutto nel concetto di re-performance che fu applicato per la prima volta in tale occasione: dopo aver contattato e ottenuto l’autorizzazione dagli autori o dai loro eredi, la Abramović reinterpretò performance storiche di Joseph Beuys, Gina Pane, Vito Acconci, Bruce Nauman, Valie Export, oltre al proprio Lips of Thomas (il settimo easy piece era una sua novità creata appositamente per l’evento). La Abramović ha spiegato che l’esigenza di salvaguardare la performance art, cercando la maniera di preservarla e tramandarla come qualsiasi altra forma d’arte, si era fatta urgenza quando — dagli anni Ottanta in poi — cinema, teatro, moda, pubblicità, videoclip avevano iniziato a saccheggiare elementi e immagini del repertorio performativo d’arte degli anni precedenti senza riconoscerne paternità (e diritti d’autore), spacciando anzi spesso come idee originali spunti ripresi da performance storiche ma magari poco conosciute al grande pubblico. L’idea della re-performance cerca così di salvaguardare la memoria di un’opera d’arte immateriale, ma nello stesso tempo permette l’eventuale revisione e attualizzazione della performance stessa ove necessario.

La sala con gli oggetti della performance Marina Abramović Lips of Thomas 1975-2017
La sala con gli oggetti della performance Marina Abramović Lips of Thomas 1975-2017

L’ingresso al Piano Nobile è caratterizzato appunto dalla re-performance di Imponderabilia, il lavoro proposto da Marina e Ulay nel 1977 alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna: i due performer, in piedi l’uno di fronte all’altro sulla porta d’ingresso del museo, costringevano i visitatori ad entrare sfiorando i loro corpi nudi (all’epoca la performance fu sospesa dall’arrivo della polizia dopo circa novanta minuti).

La re-performance di Ulay/Marina Abramović Imponderabilia 1977
La re-performance di Ulay/Marina Abramović Imponderabilia 1977

L’unico appunto che chi scrive si sente di fare a questa bellissima mostra riguarda proprio questa re-performance: lasciando ai visitatori, nell’allestimento di Palazzo Strozzi, la possibilità di scegliere se passare tra i corpi dei performer o aggirarli lateralmente, si snatura e vanifica il senso stesso dell’opera. Oltretutto l’assuefazione al nudo — in immagine o dal vivo — esistente di fatto nella società odierna (almeno quella occidentale) rende relativamente innocuo il dato puramente fisico: molto più impressionante risulta invece l’estrema, potente concentrazione dei performer nel loro fissare l’uno lo sguardo negli occhi dell’altro.

Ulay/Marina Abramović Rest Energy 1980, 16 mm transferred to digital, with color, sound, 4:04” min. Amsterdam, LIMA Foundation. Courtesy of Marina Abramović Archives and LIMA, MAC/2017/034. Credit: © Ulay/Marina Abramović. Courtesy of Marina Abramović Archives. Marina Abramović by SIAE 2018
Ulay/Marina Abramović Rest Energy 1980, 16 mm transferred to digital, with color, sound, 4:04” min. Amsterdam, LIMA Foundation. Courtesy of Marina Abramović Archives and LIMA, MAC/2017/034. Credit: © Ulay/Marina Abramović. Courtesy of Marina Abramović Archives. Marina Abramović by SIAE 2018

Segue la sezione dedicata ai lavori realizzati in coppia con Ulay (1976-1988), i cui vertici — secondo chi scrive — sono rappresentati, oltre che da Imponderabilia, da Relation in space (1976), Rest Energy (1980), Nightsea crossing (1981-1988). Si arriva infine a The Lovers (1988), che fu culmine e conclusione della collaborazione tra i due: partendo dagli estremi della Grande Muraglia Cinese, i performer percorsero a piedi 2.500 chilometri ciascuno per incontrarsi dopo 90 giorni e sancire così la definitiva conclusione della loro storia sentimentale e artistica.

La sala di The Cleaner dedicata alla performace The Lovers
La sala di The Cleaner dedicata alla performace The Lovers del 1988

Subito dopo la fine della relazione con Ulay, la Abramović inizia a lavorare sui Transitory Objects, realizzati con minerali e rocce, ritenuti portatori di peculiari cariche energetiche, inseriti in oggetti di uso quotidiano: il pubblico — non più spettatore — è invitato a usarli e a sperimentarne le proprietà. Allontanandosi sempre più dal concetto di opera a favore di un lavoro relazionale, mentre si fa più marcata l’attenzione a istanze di spiritualità provenienti da tradizioni culturali non occidentali, il passo successivo della Abramović è stato, a partire dalla fine degli anni Novanta, la creazione di eventi partecipativi in cui l’artista crea situazioni performative senza comparirvi in prima persona, ed è il pubblico a fare esperienze mentali e/o sensoriali potenzialmente trasformative: il percorso di questa mostra si conclude con Counting the Rice (2015), in cui i partecipanti possono sedere a un tavolo, con una cuffia che li isola dai rumori circostanti, dedicandosi a separare o contare chicchi di riso mischiati a lenticchie (ma anche qui: la dimensione estetica dell’allestimento non è trascurata!).

Alcuni dei Transitory Objects di Marina Abramović distribuiti nelle varie sale della mostra di Palazzo Strozzi
Alcuni dei Transitory Objects di Marina Abramović distribuiti nelle varie sale della mostra di Palazzo Strozzi

Parallelamente ai Transitory Objects e agli eventi partecipativi, l’attività della Abramović continua anche sul versante performativo, incrociandosi con il crollo del comunismo e della ex-Jugoslavia e con le conseguenti guerre balcaniche: nel 1997, invitata alla Biennale di Venezia, crea il celebre Balkan Baroque con cui vince il Leone d’Oro.

Una vista dell'installazione di Marina Abramović Balkan Baroque (Bones) 1997, video a un canale (b/n, sonoro), 9’42”. New York, Abramović LLC. Courtesy of Marina Abramović Archives e LIMA © Marina Abramović. Marina Abramović by SIAE 2018
Una vista dell’installazione di Marina Abramović Balkan Baroque (Bones) 1997, video a un canale (b/n, sonoro), 9’42”. New York, Abramović LLC. Courtesy of Marina Abramović Archives e LIMA © Marina Abramović. Marina Abramović by SIAE 2018

Tra i lavori degli anni Duemila esposti a Firenze, oltre a quelli di cui si è già parlato, va citato il bellissimo Portrait with Golden Mask (2009); punto d’arrivo della retrospettiva, infine, è The Artist Is Present — da cui eravamo partiti in questo articolo — anch’esso documentato con un allestimento efficace.

Recentemente la Abramović aveva dichiarato di non voler più creare performance, ma nella conferenza stampa che ha preceduto l’apertura di questa retrospettiva fiorentina, dietro specifica domanda, ha annunciato una futura performance nel 2020 alla Royal Academy di Londra, di cui non ha ovviamente fornito particolari. Dunque il cammino non si ferma.

Sandro Naglia
Sandro Naglia
Nato nel 1965, Sandro Naglia è musicista di professione e collezionista d’arte con un interesse spiccato per gli astrattisti italiani nati nei primi decenni del Novecento e per quelle correnti in qualche modo legate al Pop in senso lato (Scuola di Piazza del Popolo, Nouveau Réalisme ecc.).
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