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Mercato: la “grande fuga” dell’arte italiana

del

In tutte le principali fiere d’arte del mondo, da Frieze ad Art Basel, passando da Tefaf, l’arte italiana del secondo dopoguerra passa di mano velocemente, mentre nelle aste internazionali i nostri artisti raggiungono record mai visti fino ad oggi. Contemporaneamente, a Londra e Parigi, nascono gallerie specializzate sull’arte italiana degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta. Il mondo del collezionismo sembra in preda ad una vera e propria febbre per la nostra arte. Una passione di cui le Italian Sale londinesi sono solo il capitolo più affascinante. Eppure, fino a qualche decennio fa le cose non stavano proprio così e l’arte contemporanea italiana era decisamente sottostimata dal mercato internazionale. Poi qualcosa è cambiato. I musei e le gallerie di tutto il mondo hanno iniziato nuovamente a dedicare all’arte del nostro Paese importanti retrospettive e i nostri maggiori artisti del secondo Novecento sono diventati i protagonisti del mercato. I prezzi sono iniziati a lievitare e i capolavori di Fontana, Manzoni, Bonalumi, Scheggi e Castellani – tanto per fare i nomi più noti – sembrano aver conquistato l’attenzione del collezionismo internazionale, dal Regno Unito alla Cina. E se questo successo, da un lato, non può che riempirci di orgoglio, dall’altro pone una domanda fondamentale: perché proprio ora? E soprattutto: da dove arriva l’alto numero di opere che si sta riversando sul mercato?

 

L’incredibile ascesa dell’arte italiana

 

Alla fine degli anni Ottanta, rivela Artprice.com in uno dei suoi ultimi report sul mercato, gli Achrome di Piero Manzoni viaggiavano tra i 40 e il 80 mila $, mentre sul mercato secondario un Concetto Spaziale di Fontana poteva essere acquistato per poco più di 100 mila. Oggi, invece, per questi stessi artisti si pagano cifre da capogiro, con i lavori migliori che superano i 10 o, come accaduto lo scorso anno, i 20 milioni di dollari. Di fatto, nell’ultimo decennio i prezzi di Manzoni e Fontana sono cresciuti rispettivamente del 150% e del 260%. Un exploit che nel giro di pochissimo tempo si è riverberato, con effetti inimmaginabili, anche su artisti meno noti al pubblico internazionale.

E’ il caso, ad esempio, di Agostino Bonalumi che, pur facendo parte dello stesso movimento di Manzoni, aveva un mercato eminentemente locale e prezzi che si aggiravano sui 10 mila dollari. Oggi le sue opere superano tranquillamente il milione. Stesso discorso per Castellani e già si registrano trend analoghi per le opere di Simeti o Scheggi. Una domanda di arte italiana in costante crescita che, non a caso, sta spingendo le grandi case d’asta a testare il mercato di altri artisti da far scoprire al collezionismo internazionale. E’ il caso, ad esempio, di Salvatore Emblema, Domenico Gnoli o Giovanni Anselmo che recentemente, come abbiamo visto nell’articolo dedicato alle prossime aste londinesi, stanno registrando trend di mercato inediti ed estremamente positivi.

La mostra Post-War Italian Masters da Mazzoleni a Londra (2014)
La mostra Post-War Italian Masters da Mazzoleni a Londra (2014)

Ma se la crescita dei prezzi è impressionante, quello che stupisce ancor di più è la grande affluenza di opere italiane sul mercato. Un esempio: il numero di lavori di artisti dell’Arte Povera sul mercato è passato dai 37 lotti del 1997 ai circa 300 del 2013. Per non parlare di Lucio Fontana. Dall’inizio del 2015 sono già 183 le opere del padre dello Spazialismo passate in asta quando, fino a dieci anni fa, ne passavano circa 200 in un anno. E in molti casi si tratta di lavori che tornano sulla piazza dopo decenni.

Un successo, quello dell’arte italiana nelle sale room di tutto il mondo, che è certamente legato al rinnovato interesse delle principali istituzioni museali e delle gallerie private di tutto il mondo che, in questi anni, stanno dedicando importanti retrospettive e mostre ai nostri artisti: dalla Tate al MoMa, passando per il Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris. Per non parlare dell’ottimo posizionamento che gli italiani hanno all’interno delle principali fiere di settore da Tefaf ad Art Basel. Ma non è tutto qui e le ragioni estetiche e culturali sono solo un elemento di questa “invasione di arte italiana”.

 

Un successo che viene da molto, molto lontano

 

Il successo, per quanto tardivo, che sta avendo la nostra arte contemporanea sul mercato internazionale non può che riempirci di orgoglio.  Ma per chi analizza il mercato è doveroso chiedersi come mai tutto questo fermento attorno all’arte italiana del secondo dopoguerra si scatena proprio adesso e perché questo stesso interesse non lo si riscontra, ad esempio, per artisti coevi  provenienti da altri paesi europei come, ad esempio, la Francia. Ma soprattutto, come mai tutta questa improvvisa disponibilità di arte italiana? Un interrogativo, quest’ultimo, che recentemente si sono posti molti degli analisti delle principali testate che seguono il mercato dell’arte, dal Financial Times a The Art Newspaper.

Una prima risposta, forse la più semplice, è certamente quella legata ai prerequisiti richiesti dal mercato, ossia:  qualità e disponibilità. Sul primo punto c’è poco da discutere: l’interesse tributato oggi dal mercato alla nostra arte è il giusto riconoscimento del ruolo guida che l’arte italiana, dallo Spazialismo all’Arte Povera, passando per Azimut/h, ha avuto e continua ad avere nello sviluppo dell’arte contemporanea internazionale più o meno recente, sia che si parli di Minimalismo, di Op art o di artisti come Anish Kapoor. E questo, sottolinea Susan Moore sul Financial Times, ha inevitabilmente attirato  l’interesse dei relativi collezionisti tanto che «la recente mostra londinese dedicata a Dadamaino, l’unica donna del gruppo Azimuth di Manzoni, è quella che ha riscosso il maggior successo commerciale  tra le varie organizzate dalla Galleria S|2 di Sotheby’s».

Una vista della mostra The Infinite World of DADAMAINO da Sotheby's a Londra
Una vista della mostra The Infinite World of DADAMAINO da Sotheby’s a Londra

Tutto ciò ha generato un vero e proprio fenomeno a “catena” che, complice anche l’indebolimento economico del collezionismo italiano, ha ampliato a dismisura i confini geografici del mercato dell’arte italiana che, se fino a 10 anni fa era per l’80% nazionale e il 20% estero, oggi è quasi completamente internazionale, come dimostra il successo crescente delle Italian Sale londinesi dove di buyer italiani ormai non si vede neanche l’ombra. Mentre a far la parte del leone sono, oltre a quelli statunitensi e inglesi, i collezionisti provenienti dai nuovi mercati (BRIC in primis). Tutte aree geografiche in cui, negli ultimi due o tre anni, si sono mossi sapientemente i vari mercanti che si occupano di arte italiana.

Ma se è naturale che il mercato di fascia alta si sposti dove c’è maggior ricchezza, è anche vero che ad una domanda crescente si deve rispondere con una offerta adeguata, sia in termini di qualità che di quantità. E, come visto, quella che è cambiata in modo evidente negli ultimi anni è proprio la disponibilità di opere italiane. Difficile dire in modo preciso da dove provengano questi lavori. Nei cataloghi delle aste spesso la provenienza è celata da diciture vaghe come “da un’importante collezione europea”. Ma la sensazione (e forse anche qualcosa di più) è che molte opere stiano fuoriuscendo dalle collezioni private del nostro Paese. Un elemento non ufficialmente confermato, ma che sembra ormai dato per scontato dagli osservatori internazionali e che, ironicamente, anticiperebbe di molto la data di questo successo di mercato, retrodatando il tutto addirittura al 1939 e alle cosiddette Leggi Bottai che istituirono il meccanismo della “notifica” che può comportare, per l’opera a cui lo Stato italiano riconosce lo status di “bene culturale”,  una perdita di valore tra il 70 e l’80% rispetto al prezzo sul mercato internazionale. Oltre al fatto che ne viene bloccata l’esportazione. Un rischio che oggi riguarda proprio quegli artisti il cui successo sul mercato è in crescita: la “notifica”, infatti, può scattare potenzialmente per tutti quei lavori realizzati da artisti ormai deceduti e che hanno più di 50 anni e quindi, essendo nel 2015, per tutte le opere create entro il 1965. E questo senza nessun obbligo d’acquisto per lo Stato.

 

Ora o mai più

 

Negli anni Novanta, la cosiddettanotifica, è stata una delle cause dello sviluppo, in Italia, di un ampio mercato nero di opere d’arte. Oggi, invece, è alla base di questa grande corsa alla vendita. Come spiegava proprio a Collezione da Tiffany, l’avvocato Simone Morabito, infatti, «i collezionisti italiani temono quello che è stato definito l’embargo all’esportazione. Il bene, da quando è notificato, entra nel buco nero dei procedimenti amministrativi e può essere, secondo le norme vigenti, sottratto alla loro libertà negoziale per un tempo indefinito, nella pratica».  Un rischio che oggi riguarda le opere create entro il 1965, ma le lancette del tempo corrono rapidamente e di anno in anno l’arco temporale si allarga: 1966, 1967…

Una vera e propria bomba ad orologeria per chi vuole vendere i suoi Fontana e Manzoni come ha dichiarato al Financial Times, senza troppi giri di parole, Michele Casamonti, direttore della sede parigina della prestigiosa Tornabuoni Arte: «I nostri clienti vogliono vendere per motivi di esportazione, in particolare i Fontana. Perché sono sicuri che presto le cose diventeranno molto più complesse». Dichiarazione che segue l’analisi fatta da The Art Newspaper dove, recentemente, è stato messo in evidenza come «mercanti e collezionisti stanno facendo le corse per esportare i propri lavori dall’Italia prima che siano colpiti dalle restrizioni previste dalla legge».

L'andamento, in lotti e fatturato, del mercato di Lucio Fontana in base all'anno di creazione delle opere messe in vendita.  (Fonte: Art Market Monitor)
L’andamento, in lotti e fatturato, del mercato di Lucio Fontana in base all’anno di creazione delle opere messe in vendita. (Fonte: Art Market Monitor)

Se, dunque, il successo dell’arte italiana sui mercati internazionali riflette, sicuramente, un’evoluzione nei gusti dei collezionisti e i prezzi in costante crescita ne sanciscono, anche economicamente, l’alta qualità artistica, l’ampliarsi esponenziale del mercato dei nostri artisti, garantito da una maggior disponibilità di opere, sembra essere legato a fattori ben diversi da quelli meramente estetici. Fattori principalmente di natura fiscale, ma che stanno alimentando il mercato dell’arte italiana con l’immissione di un ingente numero di opere che con molta probabilità non torneranno mai più in Italia. E questo perché da noi il mercato dell’arte e tutto tranne che un libero mercato, vessato da leggi restrittive e fuori dal tempo e da un rapporto eternamente conflittuale tra lo Stato e un collezionismo a cui, però, si deve la nascita di quei musei che oggi attirano nelle nostre città milioni di turisti. Una riflessione è urgente, dunque, prima che le nostre grandi collezioni private volino tutte all’estero privando il nostro Paese di opere che potrebbero, un giorno, arricchire le raccolte pubbliche italiane. Come ci insegna la storia americana, d’altronde, il proibizionismo non porta a niente se non a conseguenze ancor più negative di quelle che si tenta di contrastare.

Nicola Maggi
Nicola Maggi
Giornalista professionista e storico della critica d'arte, Nicola Maggi (n. 1975) è l'ideatore e fondatore di Collezione da Tiffany il primo blog italiano dedicato al mercato e al collezionismo d’arte contemporanea. In passato ha collaborato con varie testate di settore per le quali si è occupato di mercato dell'arte e di economia della cultura. Nel 2019 e 2020 ha collaborato al Report “Il mercato dell’arte e dei beni da collezione” di Deloitte Private. Autore di vari saggi su arte e critica in Italia tra Ottocento e Novecento, ha recentemente pubblicato la guida “Comprare arte” dedicata a chi vuole iniziare a collezionare.
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