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Milano: due mostre celebrano Vincenzo Agnetti

del

Scomparso improvvisamente il 2 settembre 1981, Vincenzo Agnetti è stato un artista che ha anticipato i tempi ed i modi di alcune esperienze internazionali ed ha proseguito con coerenza una ricerca rigorosa, analitica, e al tempo stesso dichiaratamente poetica. Recentemente riscoperta dal collezionismo internazionale, la sua opera è adesso al centro di due mostre milanesi che si pongono l’obiettivo di accrescere la conoscenza del suo lavoro, mettendo in luce gli aspetti essenziali della sua ricerca artistica. La prima, a cura di Bruno Corà, è stata inaugurata ieri, lunedì 1° febbraio, nella nuova sede di Sotheby’s Italia a Palazzo Serbelloni e rimarrà aperta fino al 5 febbraio. Intitolata semplicemente Vincenzo Agnetti,  la mostra raccoglie una serie di lavori che rappresentano tappe fondamentali nell’attività di Agnetti e, in particolare: Macchina drogata (1968),  In allegato vi trasmetto un audiotape di 30 minuti (1973) e  Riserva di caccia (1978). Il 5 febbraio, invece, presso presso l’ex studio dell’artista, oggi sede dell’Archivio Vincenzo Agnetti, aprirà la seconda esposizione: La lettera perduta, che presenterà una serie di lavori prodotti tra il 1976 e il 1980. Nell’occasione di questa doppia personale, l’Archivio Agnetti ha dato alle stampe Archivio 01, il primo di una serie di piccoli libri che hanno la finalità di documentare il lavoro di Vincenzo Agnetti nella sua dimensione storica e di mettere in luce gli aspetti più visionari e contemporanei della sua ricerca.

 

Vincenzo Agnetti a Palazzo Serbelloni

 

Organizzata in collaborazione con l’Archivio Agnetti, la mostra inaugurata ieri a Palazzo Serbelloni, sede di Sotheby’s Italia, costituisce uno spunto di riflessione sul percorso artistico di Vincenzo Agnetti attraverso alcuni momenti topici della carriera di questo artista poliedrico che per tutta la vita ha ricercato, immaginato, costruito punti d’incrocio tra discipline diverse che appartengono a un universo mentale che non si lascia imprigionare da limiti. Il suo campo di ricerca ha spaziato, infatti, tra pittura, scultura, critica, epistemologia, tecnologia, letteratura, con un afflato politico e poetico che ne ha determinato il percorso. Tra le opere in mostra Macchina drogata (1968): un’operazione di teatro statico che si situa a cavallo tra tecnologia, arte, critica del linguaggio e critica politica. Nella stessa stanza sono mostrate alcune opere prodotte dalla macchina, un calcolatore Olivetti Divisumma, che vivono di vita propria, indipendentemente dalla macchina che le ha create.

Vincenzo Agnetti, Macchina drogata, 1968. Vista dell'installazione a Palazzo Serbelloni
Vincenzo Agnetti, Macchina drogata, 1968. Vista dell’installazione a Palazzo Serbelloni

La seconda opera chiave in mostra è In allegato vi trasmetto un audiotape di 30 minuti del 1973, lavoro che Agnetti espose a New York in occasione della sua prima personale americana alla Galleria Feldman nel 1975.  Quellei a cavallo della metà degli anni Settanta, sono anni in cui l’artista sente la necessità di fare il punto sulla sua ricerca artistica e questo lavoro ci riporta, accompagnati dalla voce di Agnetti stesso, ai temi chiave della sua attività di questi anni, sintetizzati dalla scritta TRADOTTO RIDOTTO DIMENTICATO, ma anche ad altri connessi alla multi-dimensionalità e alle differenti profondità del suo lavoro.

Vincenzo Agnetti, In allegato vi trasmetto un audiotape di 30 minuti, 1973.
Vincenzo Agnetti, In allegato vi trasmetto un audiotape di 30 minuti, 1973.

Infine, Riserva di Cacciagrande trittico in tela del 1978 che appartiene a una serie di lavori sul tema del rapporto tra desiderio e accaparramento predatorio. Ma in mostra a Palazzo Serbelloni ci saranno, tra gli altri, anche tre lavori provenienti dal ciclo Oltre il linguaggio che Agnetti  realizza negli anni Sessanta e che consiste in una serie di fotografie su tela emulsionata dove i caratteri tipografici delle parole trascritte assumono quasi un sapore pittorico. Un ciclo, quest’ultimo, che discende direttamente dalla Macchina Drogata. Una mostra, quella curata da Bruno Corà all’interno della sede di Sotheby’s, preludio di quella che sarà inaugura il 6 febbraio in via Machiavelli 30, presso l’ex studio di Agnetti oggi sede dell’Archivio che ne cura il lascito e dove sarà allestita una più ampia retrospettiva.

 

La lettera perduta in via Machiavelli 30

 

Da Palazzo Serbelloni a via Machiavelli 30. Qui il 5 febbraio prossimo, l’Archivio Vincenzo Agnetti,  inaugurerà La lettera perduta presentando nell’ex studio dell’artista, luogo carico di memoria e fascino creativo,  una serie di lavori prodotti tra il 1976 e il 1980,  uniti da un filo conduttore comune: l’omonima presentata a New York presso la Galleria Ronald Feldman e a Palazzo Grassi, a Venezia, nel 1979. Con questo allestimento l’Archivio invita a entrare nei percorsi mentali della creazione artistica di Agnetti, mostrando attraverso il concatenarsi delle opere il filo logico ed emotivo che sottende il suo lavoro. Vincenzo Agnetti, d’altronde, è stato un artista concettuale, ma il suo lavoro ha attinto a dimensioni poetiche che hanno scardinano l’impianto cognitivo dell’operazione concettuale, le sue opere sono sempre in bilico tra dimensioni diverse e nascono da interrogativi che ne innescano la ricerca artistica che ne sta alla base. E in questa mostra la domanda che viene posta è: si può archiviare una performance? Agnetti mette in scena la contraddizione di questa forma d’arte tra , come lui stesso diceva: la tensione verso l’annullamento e la necessità cogente di essere ricordata.

Vincenzo Agnetti, La lettera perduta, 1979. Galleria Feldman, New York. Fotografie di Alberto Rizzo
Vincenzo Agnetti, La lettera perduta, 1979. Galleria Feldman, New York. Fotografie di Alberto Rizzo

Nell’opera Quattro titoli–Surplaceche occuperà il piano terreno dell’Archivio Agnetti, esplode, invece, la performance portata, con un doppio salto mortale, nel mondo dei segni, qui incarnati in momenti fatti di ferro, di scultura. Il doppio titolo dell’opera ci rivela, infatti, il salto logico: Surplace sono le sculture che colgono l’azione nel momento dello scatto; Quattro titoli sono, invece, le fotografie di quattro momenti della performance. Le fotografie collocate a fianco delle sculture sono i titoli. Fotografia e scultura rappresentano, nel loro insieme, cinque dimensioni: il peso, il tempo (sottratto a una mia performance), l’altezza, la larghezza e la profondità. Ancora una volta lo spazio rimane l’insegnante di oggetti.

Vincenzo Agnetti, Surplace, 1979
Vincenzo Agnetti, Surplace, 1980

Oltre a La lettera perduta del 1979 e a Quattro titoli-Surplace, completano l’esposizione alcune opere della serie dei Mutamenti, Le stagioni si ripetono (1976) e I Ching del 1977, che fanno parte della performance come una citazione: i simboli dell’I Ching, infatti, costituiscono il contenuto delle lettere. L’allestimento, infine, invita a entrare nell’operare artistico di Agnetti, svelando l’impalcatura concettuale che ne è alla base e lasciando parlare le opere d’arte esclusivamente attraverso la loro presenza e il loro “essere”.

 

Vincenzo Agnetti in breve

 

Protagonista delle ricerche più radicali nel campo delle arti visive, Vincenzo Agnetti (1926-1981) può essere considerato il maggior esponente italiano dell’arte concettuale, che ha contraddistinto almeno un decennio di cultura visiva internazionale. Dopo una brevissima stagione pittorica di segno informale, nel 1960 Agnetti dà avvio ad un’intensa attività di scrittore e teorico militante nell’arte contemporanea, a sostegno di artisti come Piero Manzoni ed Enrico Castellani, e di gruppi come Azimuth, attivi nella Milano dei primi anni sessanta. In seguito, alla fine del decennio, Agnetti prosegue la propria riflessione teorica sull’arte, la sua funzione e i suoi linguaggi, spostando però l’attenzione sulla produzione artistica vera e propria. Le opere di Agnetti sono proposizioni di ordine mentale. Si tratta spesso di un’autoanalisi giocata sul confronto fra l’immagine e la parola, che mira ad una verifica del funzionamento dei linguaggi, quello visivo e quello verbale. I numerosi inviti a esposizioni internazionali come Documenta a Kassel, nel 1972, e a diverse edizioni della Biennale di Venezia, sancirono per Agnetti un riconoscimento che lo pose a fianco di artisti impegnati nella “decostruzione”dei linguaggi artistici, quali John Baldessari o Joseph Kosuth negli Stati Uniti, o come Daniel Buren o Victor Burgin, in Europa. La morte all’età di cinquantacinque anni ha impedito ad Agnetti di maturare la sua poetica, che negli ultimi anni di vita stava tornando a pratiche manuali, mutuate però dal linguaggio fotografico. La sua opera, su cui torneremo prossimamente, è oggetto di una recente riscoperta iniziata nel 2008 con la mostra Vincenzo Agnetti. Retrospettiva 1967-1980 al Mart di Rovereto e proseguita, in questi anni, con le mostre Vincenzo Agnetti – L’operazione Concettuale, presso il Centro Italiano Arte Contemporanea di Foligno (2012); A proposito di Vincenzo Agnetti, al Museo D’Arte Contemporanea Villa Croce di Genova (2013). Un rinnovato interesse che è culminato, lo scorso anno, in una forte crescita del suo mercato e con il record realizzato a Londra, il 16 ottobre scorso, da Ritratto di Abitante, feltro del 1971-72 battuto a 202.980 €.

Nicola Maggi
Nicola Maggi
Giornalista professionista e storico della critica d'arte, Nicola Maggi (n. 1975) è l'ideatore e fondatore di Collezione da Tiffany il primo blog italiano dedicato al mercato e al collezionismo d’arte contemporanea. In passato ha collaborato con varie testate di settore per le quali si è occupato di mercato dell'arte e di economia della cultura. Nel 2019 e 2020 ha collaborato al Report “Il mercato dell’arte e dei beni da collezione” di Deloitte Private. Autore di vari saggi su arte e critica in Italia tra Ottocento e Novecento, ha recentemente pubblicato la guida “Comprare arte” dedicata a chi vuole iniziare a collezionare.
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