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Dentro l’opera: “C’Arte” di Sophie Mühlmann

del

Sophie Mühlmann nasce a Torino nel 1987, città dove oggi è tornata a vivere e dipingere dopo aver conseguito il diploma in Fashion Business presso l’Istituto Marangoni a Parigi e in seguito ad un primo percorso lavorativo costruito tra l’Italia e New York. Una vita diversa prima di scegliere, nel 2013, di rientrare in Italia, a Pinerolo, nella pace del verde e delle montagne della Val Lemina, per ritrovare il proprio equilibrio interiore.

Una ricerca personale che si è evoluta attraverso il colore ed il disegno. Sophie ha iniziato ad analizzare ed indagare aspetti della vita quotidiana, la costruzione dell’IO umano, l’evoluzione del concetto e della sostanza dell’individuo e la sua interazione con il mondo circostante. Un percorso che anche oggi spesso si intreccia tra moda – il suo primo amore – ed arte, che si nutre di reciproche contaminazioni e propone risultati sempre nuovi e stimolanti.

La produzione artistica di Sophie spazia tra il lavoro su tele, tessuti e carte, illustrazioni ispirate alla natura e sperimentazioni materiche che cambiano seguendo il flusso di pensieri, idee ed emozioni.

Sophie Mühlmann, Il Bello, Dichiarazione, 2017. Opera vincitrice del Meneghetti International Art Prize
Sophie Mühlmann, Il Bello, Dichiarazione, 2017. Opera vincitrice del Meneghetti International Art Prize

Tra i progetti personali e collettivi cui ha lavorato, segnaliamo l’ultima edizione del Meneghetti International Art Prize, che l’ha vista vincitrice con l’opera Il Bello, dichiarazione, e la collaborazione con Fondazione Medicina a Misura di Donna per la realizzazione di un progetto artistico intitolato Primavera. Quest’ultimo é stato pensato in continuità con il lavoro del Cantiere dell’Arte ideato e condotto dal Dipartimento Educazione del Castello di Rivoli. Partendo dalla metafora del giardino, è stato risignificato un intero blocco dell’Ospedale Sant’Anna di Torino attraverso la mobilitazione di oltre 2000 persone, in primis studenti e manager in formazione, nel prendersi cura del bene comune.

Citiamo inoltre Citrus, opus est nobis amore sub cortice in collaborazione con Maison Tonatto Profumi, allestito presso Palazzo Birago di Borgaro (Torino, 2017) e l’Award Guido Gobino 2017 che l’ha vista finalista tra gli artisti della mostra collettiva organizzata alla Pinacoteca dell’Accademia Albertina (Torino, 2017).

Project Marta – Monitoring Art Archive anche in questo caso, partendo dall’intervista con artista, ha redatto una carta d’identità di alcune opere di Sophie, raccogliendo tutte le informazioni utili a conoscerle in profondità, e quindi a tutelarle nel corso della loro esistenza. Come nel caso della serie C’Arte, realizzata tra il 2015 e 2016, di cui vi parliamo attraverso estratti dell’intervista ad artista.

Benedetta Bodo di Albaretto: Il tuo lavoro, dal 2015 ad oggi, mi sembra che abbia scelto di riservare al supporto cartaceo la responsabilità di una ricerca che si concentra sugli aspetti più intimi dell’animo umano, sul suo rapporto con i sentimenti e con la realtà di tutti i giorni. La tua ricerca si evolve attraverso tre elementi che rimandano essenzialmente all’Io, quello che Immaginiamo, quello che Viviamo. Come si lega questa ricerca – e come si differenzia in diverse serie tematiche – al tuo percorso artistico?

Sophie Mühlmann: «C’Arte è nato da un momento in cui avevo bisogno di dare prontamente forma e corpo a pensieri ed emozioni di momenti passati e situazioni che stavo vivendo. Cosa avevo di immediatamente utilizzabile? Del filo d’argento, cotone, spago, filo Gütermann (anche nei lavori successivi cerco di utilizzare questo marchio per un legame puramente affettivo, mia nonna paterna era Gütermann). C’Arte è diventato un diario in forma di tante singole opere. Dopo questa serie ho preso l’abitudine di appuntare idee e bozzetti non appena li sento fluire, utilizzavo un quaderno ed adesso sono passata alle Note sul cellulare (la modernità che aiuta l’istantaneità). Li scrivo il prima possibile perché mi rendo conto che sono spunti di auto-riflessione e mi aiutano a fissare nel tempo un attimo del presente.

Sophie Mühlmann, Sediamo il cervello, affinchè al cuore non arrivi la tristezza, dalla Serie C'Arte, 2015-2016
Sophie Mühlmann, Sediamo il cervello, affinchè al cuore non arrivi la tristezza, dalla Serie C’Arte, 2015-2016

Questa è la genesi di C’Arte, ed effettivamente sono riuscita a imprimere velocemente questi pensieri su supporti di piccole dimensioni, che mi hanno consentito di iniziare e finire ogni singolo lavoro in un breve lasso di tempo. I lavori (n.d.r. la serie si compone di 24 opere) sono rimasti in studio per un anno, un anno e mezzo buono prima che riuscissi a trovare il contenitore adatto. Contenitore che è arrivato assieme all’incontro di un artista, Max Tomasinelli, con cui si è creata subito una sinergia positiva. Da questa sinergia é nata una doppia personale, Max Tomasinelli ed io, negli spazi della Cripta San Michele Arcangelo a Torino, nel 2016. È stato difficile perché ho avuto bisogno di tempo per mettere a nudo una parte di me stessa davanti a tutti, ma è stata una mostra importante, una sorta di prima presentazione».

B.B.: I tuoi disegni, a differenza dei dipinti, rimandano spesso ad una terza dimensione, utilizzando elementi che si sovrappongono al disegno, in alcuni casi in una sorta di collage, in altri in una vera distribuzione spaziale su più livelli. C’è qualcosa che vorresti venisse percepito e compreso dal pubblico e dagli operatori quando osservano queste opere?

S.M.: «C’Arte racconta di me, mi sono esposta molto a livello di contenuti e messaggio. Per quanto riguarda la terza dimensione, non ho lavorato sulla prospettiva, ma di sicuro questa serie vuole prendere le distanze dal bidimensionale: è movimentata. Tale produzione si distingue dai miei dipinti, che sono graficamente piatti e costretti in uno spazio definito. C’Arte è nato materico, realizzando cuciture, creando rilievi, facendolo vivere nell’ambiente, come se emergesse dal supporto e prendesse più spazio, impossessandosi un po’ dell’oltre che non è il piano, non è lo spazio chiuso di una superficie definita. Questa libertà materica e di spazio sta contaminando anche i lavori su tela. I primi dipinti che ho realizzato erano molto inquadrati, addirittura chiusi in una cornice disegnata, adesso li sto man mano liberando, vanno di pari passo con la mia evoluzione personale, si liberano con me».

Sophie Mühlmann, Piume di Piombo, dalla Serie C'Arte, 2015-2016
Sophie Mühlmann, Piume di Piombo, dalla Serie C’Arte, 2015-2016

B.B.: Puoi descrivermi come lavori, le fasi di realizzazione e allestimento delle tue C’Arte?

S.M.: «Parto da un concetto, una sensazione, un’emozione … so cosa voglio esprimere, ma inizialmente, la maggior parte delle volte, non so come comunicarlo. Per questo inizio a sperimentare unendo vari elementi, lasciandomi guidare dai materiali e dai significati. Alcuni elementi come l’ovatta sono ancorati al supporto cartaceo mediante utilizzo di colle, altri – ad esempio realizzati con tessuto – hanno richiesto che bucassi la superficie e legassi il filo sul retro. Ho utilizzato pinzette da orafo laddove non riuscivo a lavorare con le mani per le dimensioni troppo ridotte. Da queste diverse sinergie si crea qualcosa, se funziona ed esprime ciò che volevo, allora trovo un titolo adatto».

B.B.: Le tue opere hanno un titolo, nel caso di questa serie spesso molto articolato. Quanta importanza hanno i titoli nella lettura delle tue opere? Ci pensi prima, durante o al termine della stesura del dipinto?

S.M.: «I titoli sono proprio delle piccole storie, piccole poesie e riflessioni legate ad emozioni ed episodi particolari, come nel caso di “Rompere i tovaglioli come piatti in silenzio”. Ero con amici a mangiare in baita ed invece di “non rompere le scatole” ho detto “non rompere i tovaglioli”. Grande ilarità al tavolo, tutti si sono chiesti cosa intendessi. Ho iniziato a riflettere sul perché avessi esternato il concetto a quel modo … i tovaglioli non fanno rumore quando si rompono. In una lite generalmente si rompono i piatti, si fa baccano, si vuole distruggere tutto, ma in fondo anche il tovagliolo si rompe, capita comunque qualcosa di forte, solo che succede in silenzio. La sintesi della modalità d’azione delle mie rotture interne del passato. Così è nata quell’opera».

B.B.: In generale sei soddisfatta della resa offerta dai materiali scelti per realizzare questa serie, dalla carta ad elementi come l’ovatta? Alcuni sono diventati un media favorito, altri non li useresti più, in generale nel caso di questa tipologia di opere sperimenti nuovi materiali a seconda del tema su cui lavori?

S.M.: «In realtà l’unica cosa che ho dovuto cambiare per la serie C’Arte, facendo diverse prove, è stato il tipo di colla. Lavorando con i pantoni si creavano delle antiestetiche macchie rispetto al risultato che volevo ottenere. Mi sono adoperata un po’ prima di riuscire a trovare il prodotto giusto da utilizzare. Materiali che non utilizzerei più in realtà non ce ne sono, mi son trovata bene un po’ con tutti, l’unica cosa a cui mi vien da pensare è la deperibilità dei fiori. Quando utilizzo i fiori secchi il colore con il tempo sbiadisce, oltre al fatto che sono molto delicati, e se questo cambiamento naturale non è in linea con ciò che voglio esprimere, evito di utilizzarli. La carta mi piace perché è un supporto molto adattabile, ed inoltre mi piace disegnare; non ho usato una carta da 80 gr perché volevo che avesse una certa rigidità, ho scelto supporti da 220 grammi. La lana e il filo d’argento sono materiali a me congeniali, perché hanno consistenze e spessori variabili tali da risultare facilmente e velocemente modellabili».

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